Francesco (1936-2025), il papa che ha reso la Chiesa romana più “cattolica”
Nel 2013, dopo la drammatica rinuncia di papa Benedetto XVI e l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio come papa Francesco, la Chiesa cattolica romana attraversava un periodo turbolento. Era travolta da scandali sessuali, corruzione finanziaria, critiche della stampa e un’opinione pubblica sempre più sfavorevole. Il libro The Promise of Francis: The Man, the Pope, and the Challenge of Change del corrispondente vaticano della BBC, David Willey, diede voce a un desiderio diffuso in ambito cattolico: Francesco, eletto “dalla fine del mondo”, avrebbe dovuto portare un cambiamento.
Francesco ha scosso il mondo cattolico con un turbine di innovazioni: nei simboli (indossava una croce metallica semplice), nello stile di vita (abitava in un appartamento modesto a Santa Marta), nel linguaggio (parlava come un parroco di campagna), nell’atteggiamento (accessibile a tutti), nel tono (caldo e relazionale), nello stile (schietto e non diplomatico), e nella pastorale (benediceva le persone omosessuali e ammetteva i divorziati alla comunione).
Dopo alcuni anni di pontificato, il giornalista del New York Times Ross Douthat pubblicò To Change the Church, un libro che esprimeva preoccupazioni per lo sconvolgimento teologico provocato dal papa e le divisioni nate di conseguenza. Alcuni ambienti tradizionalisti reagirono con forza, temendo la perdita degli elementi “romani” della fede cattolica, cioè dottrine e pratiche consolidate. Alcuni teologi cattolici di alto rango evitarono di definirlo “eretico”, temendo che il “cattolico” potesse inghiottire il “romano”.
I cambiamenti introdotti da Francesco sono diventati oggetto di controversie, trasformando le alte aspettative iniziali del suo pontificato in un clima di confusione verso la fine.
Contro ogni aspettativa
Con una formazione teologica eclettica e incompleta, argentina e non accademica, Francesco mostrò fin da subito insofferenza verso la mentalità conservatrice della Chiesa, la rigidità degli schemi tradizionali e il clericalismo della cultura ecclesiastica. Espresse questa frustrazione usando un linguaggio pastorale e promuovendo un pensiero “poliedrico” invece che verticale e centralizzato.
Il suo vocabolario teologico includeva termini come “teologia del popolo”, “conversione missionaria”, “misericordia”, “sinodalità”, “conversione ecologica”, “fraternità e fratellanza”. Alcuni di questi concetti esistevano già nella dottrina cattolica, ma Francesco li reinterpretò dando loro nuovi significati o sfumature diverse.
Diventò anche una sorta di portavoce delle religioni del mondo su temi come migrazione, ambiente e pace, ma fu meno incisivo su questioni come la tutela della vita nel grembo materno.
Un cattolicesimo “liquido”
Tutti questi temi si collocano nel contesto della sua visione del dialogo interreligioso: Francesco privilegiava l’atmosfera (“vibes”) più che la dottrina.
A proposito dell’unità dei cristiani, disse: “Facciamo una cosa: mettiamo tutti i teologi su un’isola a discutere tra loro, e noi andiamo avanti in pace.” Per lui, i dibattiti teologici erano quasi una perdita di tempo. Il suo ecumenismo si basava sul “camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme”, non su discussioni dottrinali orientate all’accordo. Era un “ecumenismo spirituale”. Lo applicò con protestanti liberali, evangelici, carismatici di ogni tipo, ortodossi orientali e anche con le religioni non cristiane. Il suo desiderio di unità andava oltre i confini del cristianesimo.
Francesco sottolineava l’unità del genere umano, più che l’identità ecclesiale o religiosa. Nel 2020 pubblicò un’enciclica – il livello massimo dell’insegnamento papale – sulla fratellanza universale: Tutti fratelli. Questo documento consolidava l’idea che la Chiesa cattolica dovesse essere inclusiva verso tutti in quanto umani, indipendentemente da pentimento o fede in Gesù Cristo. Pregava regolarmente con musulmani e leader di altre religioni.
Francesco puntava sull’inclusione piuttosto che sulla tradizione. Incoraggiava la Chiesa ad accogliere i divorziati risposati non secondo la “lettera” dell’esclusione tradizionale dalla comunione, ma secondo lo “spirito” dell’inclusione, valutando caso per caso. Questo è quanto prevedeva la sua esortazione apostolica post-sinodale del 2016, Amoris Laetitia.
In sintesi, Francesco sembrava promuovere una forma “liquida” di cattolicesimo romano.
Bisogna capire ciò che è accaduto sotto Francesco alla luce della tensione storica tra il polo “romano” e quello “cattolico” del cattolicesimo romano. Francesco ha spinto fortemente sull’agenda “cattolica” di Roma: accogliere tutti, affermare tutti, ampliare i confini tradizionali della Chiesa.
Chi viene dopo: Giovanni XXIV?
Il “cambiamento” avviato da Francesco proseguirà con il prossimo papa? Durante il volo papale di ritorno dalla Mongolia nel 2023, Francesco lasciò intendere quale nome papale gli piacerebbe vedere nel suo successore: non un individuo preciso, ma un nome simbolicoì: Giovanni XXIV.
In dodici anni di pontificato, Francesco ha plasmato il prossimo conclave nominando il 75% dei cardinali votanti. La maggior parte di loro sono suoi amici o persone a lui affini. Ma perché “Giovanni XXIV”? Perché Giovanni XXIII è ricordato come “il papa buono”: accessibile, gentile, umile. È colui che ha convocato il Concilio Vaticano II nel 1959. Il concilio iniziò nel 1962, e Giovanni XXIII morì mentre era ancora in corso.
Il Vaticano II è l’evento spartiacque della Chiesa cattolica contemporanea. In quel concilio, Roma iniziò a ridimensionare la sua insistenza secolare sugli aspetti “romani” dell’identità cattolica (gerarchia, dottrina, autorità ecclesiastica) e a valorizzare le aspirazioni “cattoliche” (inclusione, accoglienza, apertura). Francesco si è visto come l’esecutore di questa visione del Vaticano II. Un papa nello stile di Giovanni XXIII promuoverebbe la fraternità universale nei rapporti ecumenici, interreligiosi e sociali, preservando l’unità cattolica.
Il cambiamento portato da Francesco non ha favorito una transizione “evangelica” nella Chiesa romana, anzi ha reso la sua chiesa più “cattolica” e meno “romana”, ma non più biblica. Chiunque sarà il prossimo papa, il bisogno di una riforma biblica resterà più urgente che mai.
Tratto da https://www.thegospelcoalition.org/article/pope-francis-roman-church-legacy/
Tematiche: Cattolicesimo, Chiesa, Vangelo
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