L’intelligenza artificiale e la predicazione
A prima vista, l’intelligenza artificiale appare come una soluzione affascinante e uno strumento innovativo per predicatori impegnati che cercano disperatamente aiuto nella preparazione dei sermoni. Che male potrebbe esserci?
Plagio
L’era digitale ha provocato una proliferazione del plagio pastorale. Sia pastori di grandi comunità che ministri di piccole chiese sono stati smascherati per aver predicato sermoni scritti da altri. Sebbene pochi giustifichino il prendere integralmente un sermone altrui, molti pastori faticano a stabilire con chiarezza dove debbano essere posti i confini. Da un lato, predicatori scrupolosi desiderano riconoscere il merito ogniqualvolta utilizzano il pensiero di qualcun altro; dall’altro, uno studio diligente porta spesso a raccogliere decine di contributi da fonti diverse. Quanto devono essere meticolosi i riconoscimenti? I pastori dovrebbero menzionare ogni autore da cui hanno appreso qualcosa di utile, o solo coloro che vengono citati testualmente? Non c’è il rischio che un sermone finisca per essere talmente costellato di riferimenti da far pensare ai fedeli che il pastore voglia impressionarli con la vastità delle sue letture?
Il compianto pastore presbiteriano Donald Grey Barnhouse propose una distinzione tra il “rubare le rose del vicino per farne un proprio mazzo” e l’“usare le rose del vicino per creare il proprio profumo”. La sua analogia voleva dire che predicare il sermone di qualcun altro è come rubare le rose del vicino, invece di prendersi la fatica e il tempo di coltivarle da sé. Usare però le rose di un altro per profumare un’essenza propria significa invece ricevere contributi come ingredienti tra molti, per produrre qualcosa di autenticamente personale.
La tentazione di usare IA
Il plagio è un crimine intellettuale, tanto quanto il furto di fiori è un reato materiale. C’è sempre un autore e una vittima. Qualcuno si appropria di ciò che appartiene a un altro. Ma cosa accadrebbe se non ci fosse una vittima? Se non si sottraesse il lavoro a nessuno? Se fosse possibile riprodurre fiori dal nulla? Se un pastore oberato di lavoro, con scarse risorse, potesse pronunciare un sermone davvero biblico, che però non proviene né dalla sua mente né da quella di qualcun altro? Sarebbe forse immorale? Di quali rose sarebbe fatto, allora, quel profumo?
È proprio questa la tentazione che si presenta ai pastori che ricorrono all’intelligenza artificiale per generare i propri sermoni. Si presume che, se non si sta rubando da qualcuno, allora non ci sia nulla di sbagliato. Se la predicazione fosse soltanto una conferenza o una trasmissione di informazioni, forse l’utilizzo dell’IA per scrivere il testo potrebbe essere accettabile, ma l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo non è un argomento qualsiasi, né si trasmette attraverso mezzi ordinari.
Gli uomini devono proclamare la Parola
Prima di tutto, Dio ha stabilito che il Vangelo fosse comunicato attraverso le persone. Avrebbe potuto servirsi degli angeli, ma ha scelto gli uomini. Avrebbe potuto consegnare la sua Parola direttamente dal cielo, come opera compiuta, ma ha ispirato uomini a scriverla. Gesù avrebbe potuto rivelarsi in modo cosmico, ma è venuto tra gli uomini. Ha scelto, formato e mandato discepoli e ha affidato loro il compito di fare a loro volta discepoli, battezzandoli e insegnando loro a osservare tutto ciò che egli aveva comandato.
Qualcosa di profondamente significativo avviene quando il popolo di Dio proclama la Parola di Dio secondo la potenza di Dio. Paolo scrisse alla chiesa di Corinto: “Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione” (1 Co 1:21). E ancora: “la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza” (1 Co 2:4).Tutto, nell’idea di usare l’intelligenza artificiale per scrivere un sermone, sembra andare in direzione opposta rispetto all’insistenza di Paolo nel rifiutare la sapienza umana per cercare la potenza di Dio. Il messaggero stesso, che è parte essenziale nel metodo scelto da Dio per diffondere il Vangelo, deve essere profondamente permeato dalla Parola e dallo Spirito di Dio.
Sii un pastore
Se il messaggero fa parte del disegno di Dio, lo è anche la motivazione che lo muove. I pastori non sono semplici oratori, ma pastori consacrati. Il compito di guidare e nutrire il gregge non è meccanico, ma relazionale. Praticamente ogni persona in ogni chiesa può facilmente ascoltare, tramite internet, predicatori più abili di colui che si trova dietro al pulpito locale; ma nessuno su YouTube potrà mai fare da pastore per loro, pregare insieme a loro nei momenti di angoscia, o piangere con loro davanti a una tomba. È sorprendente che le persone scelgano di ascoltare un predicatore magari meno brillante, ma che rende reale e viva l’esperienza della predicazione attraverso la sua vicinanza e relazione personale. La predicazione pastorale è cura, guida e discernimento spirituale e questi compiti non possono essere svolti intimamente da un’intelligenza artificiale, ma soltanto da chi è stato chiamato e reso capace da Dio.
La predicazione è tanto più efficace quanto più il testo e lo Spirito Santo hanno afferrato e trasformato il cuore del predicatore. Questo avviene attraverso lo studio, la meditazione, la riflessione, l’applicazione e l’annuncio della Parola di Dio. Se predicare significasse soltanto trasmettere contenuti biblici, allora sarebbe sufficiente distribuire a ogni credente una raccolta di commentari biblici e invitarli a leggerli a casa. Ma la predicazione è molto di più: è l’esperienza comunitaria della Parola e dello Spirito, vissuta insieme dal pastore e dalla chiesa riunita.
I limiti spirituali dell’IA
Oltre alle ragioni spirituali, i limiti intrinseci dell’intelligenza artificiale dovrebbero bastare a dissuadere ogni pastore dal farne affidamento per la preparazione dei sermoni. Ho condotto un’approfondita analisi delle capacità creative di diversi modelli di IA e non ne ho ancora trovato uno che si avvicini minimamente alla musicalità evocativa della poesia di Yeats o alle osservazioni sottili dei saggi di Joan Didion. Qualsiasi confronto onesto tra il sermone di James S. Stewart The Rending of the Veil e un sermone sullo stesso argomento prodotto da un’intelligenza artificiale rivelerebbe un abisso incolmabile tra i due. L’IA potrà forse migliorare, ma oggi è ancora molto lontana da simili livelli.
L’IA mente e non ha un’anima
Inoltre, i modelli di intelligenza artificiale non sono affidabili. Spesso incorrono in cosiddette “allucinazioni”, ovvero affermazioni pronunciate con sicurezza, ma prive di fondamento nei dati ricevuti. Capita che riportino cifre inventate, risposte che contraddicono i criteri richiesti, o citazioni di fonti false, arrivando perfino a inventare riviste o articoli inesistenti. In fondo, non dovrebbe stupirci, dato che sono progettati per imitare il ragionamento e i pensieri umani: sono creati a immagine dei loro creatori.
Sebbene non sia di per sé sbagliato utilizzare l’IA per costruire la struttura di una ricerca o per raccogliere spunti comunicativi, essa richiede le stesse attenzioni critiche che si riservano a qualsiasi altra fonte umana. Commentari, motori di ricerca, enciclopedie digitali come Wikipedia e altri strumenti contengono inevitabilmente lacune ed errori. L’intelligenza artificiale non è assolutamente una scorciatoia automatica per una buona predicazione. Può offrire informazioni, ma non ha un’anima.
E chi vorrebbe ascoltare una predicazione senza anima? I membri di una comunità cristiana hanno diritto a ricevere un messaggio che scaturisca dal testo biblico e passi attraverso il cuore del loro pastore.
Quando Pietro esortò i suoi confratelli anziani a “pascere il gregge di Dio che è tra di voi” (1 Pietro 5:1,2), lo fece fondandosi sulla propria esperienza diretta: “testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve essere manifestata”. Il suo ministero nasceva dall’incontro personale con Cristo. Allo stesso modo, Paolo citò il Salmo 116:10 per spiegare ai Corinzi il motivo della sua predicazione: “Siccome abbiamo lo stesso spirito di fede, secondo ciò che è scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo, perciò parliamo” (2 Corinzi 4:13). La fede è essenziale. Il diritto di stare in piedi per annunciare la Parola di Dio non si ottiene semplicemente attraverso strumenti che migliorano l’eloquenza, ma attraverso una fede viva e una testimonianza appassionata di Cristo, radicata nell’intimità con Lui.
Per una guida alla preparazione di insegnamenti biblici, consigliamo Dal Testo all’insegnamento, di David Jackman, Ed. Coram Deo.
Foto di Immo Wegmann su Unsplash
Tematiche: AI, Predicazione
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