Caro pastore… No, non sei un fallimento

 

 

Questo articolo fa parte della serie Caro Pastore.

 

Caro pastore,

Hai fallito e fallirai, ma non sei un fallimento.

La perfezione è impossibile e il fallimento è inevitabile, e certamente in qualche ambito della vita o del ministero, prima o poi, falliremo; non saremo all’altezza delle richieste di Dio, degli altri e persino delle nostre stesse aspettative.

Almeno una volta, e di solito molte volte, ci capiterà di fallire e di atterrare duramente.

 

“Ho fallito”

Potremmo fallire nella nostra integrità morale, assecondando la lussuria o dicendo una bugia. Potremmo fallire nelle nostre relazioni, trascurando la famiglia o sbagliando la nostra comunicazione con gli altri; potremmo fallire nel dare consigli, finendo per risultare troppo duri o troppo permissivi, troppo ingenui o troppo cinici. Potremmo fallire nella predicazione, complicandola o semplificandola eccessivamente.

 

Inoltre, potremmo fallire nelle nostre preghiere: interrompendo la preghiera e lo studio personale della Bibbia quando siamo troppo occupati o troppo scoraggiati; potremmo fallire nelle nostre decisioni, giudicando male le persone o fraintendendo una situazione, e ancora potremmo fallire nella cura degli impegni, mancando a un appuntamento o dimenticando di chiamare qualcuno e chissà quante volte potremmo fallire nell’evangelizzare, perdendo un’opportunità o rovinandola.

 

Infine, potremmo fallire in campo finanziario, non avendo entrate sufficienti per supportare le famiglie o non avendo abbastanza offerte per essere una comunità che sostiene le proprie attività.

 

Il ministero pastorale è un così grande campo minato di insuccessi che la maggior parte di noi ne calpesta diversi e in momenti differenti della propria vita. Perciò, non è una sorpresa che molti pastori guardino indietro a tutte quelle volte in cui sono caduti concludendo: “Sono un fallito”.

 

“Sono un fallimento”

Anche un solo fallimento può talvolta essere sufficiente a ferirci così profondamente da farci etichettare come falliti perché esso ci definisce e ci rende ciechi nei confronti di tutto ciò che ci riguarda.

 

Tuttavia, attraverso il Vangelo, il nostro misericordioso Salvatore ci dice: “Sì, hai fallito, ma non sei un fallimento, hai resistito a molti ordigni esplosivi improvvisati, ma non per questo la tua identità è quella del fallito; Gesù, il perfetto, è stato lasciato morire per rendere integro l’imperfetto, Egli ha preso i nostri fallimenti in modo che non venissimo mai riconosciuti come tali. L’espiazione di Cristo ha coperto i nostri fallimenti agli occhi di Dio, in modo tale che Egli veda solamente la perfezione di Gesù ogni volta che vede noi; Gesù aveva la scritta del fallimento sulla croce, così che noi potessimo avere la scritta della perfezione attraverso il Vangelo.

 

Dio non nega i nostri fallimenti, tuttavia rifiuta che siamo degli incapaci. È d’accordo con noi che abbiamo fallito, ma non è d’accordo con noi che siamo dei falliti infatti, vuole che il Suo popolo confessi i propri fallimenti, ma che non accetti mai l’identità di fallito; il fallimento non deve mai definirci, al contrario può insegnarci.

 

Quindi, riconosciamo tutti i nostri peccati portandoli al nostro infallibile Signore per ottenere il suo perdono pieno e gratuito (1 Giovanni 1:9). Portiamo al Signore i nostri fallimenti nell’evangelizzare, i nostri sermoni sbagliati, le nostre visite pastorali mancate e i nostri consigli sbagliati, e rivolgiamo a Lui i nostri cuori:

Signore, ho sbagliato un altro sermone… Ho dimenticato di visitare quell’anima bisognosa… Ho avuto troppa paura di parlare di te al mio vicino… Ho giudicato male l’umore degli anziani. . . Ho offeso inutilmente quella famiglia che se n’è andata. . . Sono stato insensibile nel consigliare… Sto pagando le conseguenze per aver infranto una fiducia…

e ancora:

Ho fallito usando come metro di misura il successo mondano.

 

Tuttavia, quando confessiamo i nostri fallimenti, sperimentiamo l’amore immutabile del Signore e il Suo perdono eterno (Prov. 28:13). Di conseguenza torniamo più umili e più deboli, ma anche più saggi e più felici perché alla luce della Croce ci rendiamo conto di quanto sia giusto riconoscere i nostri fallimenti, ma anche di quanto sia sbagliato riconoscerci nell’identità del fallito. In questa ottica, alla fine, vediamo come Dio può trasformare anche i nostri insuccessi più brutti in qualcosa di vantaggioso e persino bello.

 

“Imparare a fallire”

Anche se i nostri fallimenti possono essere estremamente dolorosi possiamo imparare molto da essi, soprattutto se prima abbiamo allontanato il senso di colpa tramite la Croce; solo avendo messo a tacere il nostro senso di colpa possiamo guardare ai nostri errori più da vicino, con l’obiettivo di imparare da loro, perché chi studia gli insuccessi viene trasformato a somiglianza del proprio Maestro perfetto, Gesù Cristo.

 

Imparare a fallire bene apprendendo correttamente dai nostri errori è una parte vitale del ministero cristiano. Un pastore mi disse: “I primi dieci anni di ministero consistono nell’essere spezzati e spogliati!”, devo aver fatto un corso accelerato perché mi ci sono voluti solo cinque anni per essere spezzato, spogliato e marchiato come un fallimento! Sono stati giorni molto bui. Eppure, so che quei dieci mesi nella scuola del fallimento mi hanno dato la mia laurea più preziosa: un master su come sbagliare nel migliore dei modi. Purtroppo continuo a dimenticare ciò che ho imparato e devo tornare a quella scuola impopolare per un corso di aggiornamento, ma ecco alcune delle lezioni che Dio mi ha insegnato durante le mie interminabili lezioni:

 

Il fallimento mi ha insegnato l’umiltà. Gran parte d’essi sono stati il risultato di un’eccessiva fiducia in me stesso, perché non riponevo abbastanza fiducia in Dio. Il fallimento mi ha umiliato e mi ha insegnato a riporre tutta la fiducia in Lui (2 Cor. 3:4-5).

 

Il fallimento mi ha insegnato a pregare. Il “successo” tende a ridurre e rendere superficiale la preghiera, mentre il fallimento tende a espanderla e ad approfondirla.

 

Il fallimento mi ha insegnato la compassione. Se non avessi mai fallito nell’educazione, nella predicazione, nell’insegnamento, nelle decisioni finanziarie, ecc., avrei poca o nessuna pazienza, simpatia o disponibilità per gli altri che hanno fallito (1 Cor. 10:12).

 

Il fallimento mi ha insegnato cosa sono chiamato a fare (e a non fare). I fallimenti mi hanno fatto capire che non sono portato per certe cose che mi piacerebbe fare; piuttosto dovrei concentrarmi sulle aree per le quali Dio mi ha preparato.

 

Quando confessiamo i nostri fallimenti, sperimentiamo l’amore immutabile del Signore e il Suo perdono eterno.

 

Il fallimento mi ha insegnato ad ammirare i doni degli altri. Quando vedo persone che hanno successo in settori in cui io ho fallito non posso che ammirarli (soprattutto abilità pratiche come la pittura, l’idraulica, la falegnameria, la meccanica, ecc.), perché tentare e fallire in questi campi mi ha reso grato per coloro che sono riusciti ad aver successo senza bisogno di sbagliare.

 

Il fallimento mi ha insegnato ad attribuire i successi a Dio. Quando le cose vanno bene riconosco che è solo Dio che ha permesso, soccorso e benedetto, incoraggiandomi ad essere più grato e umile (1 Cor. 15:10).

 

Il fallimento mi ha insegnato a usare il metro di misura del successo di Dio. Invece di concentrarmi sui criteri mondani dei numeri e delle finanze, ho imparato a usare i parametri di Dio come la santità nella vita e l’essere fedele nelle piccole cose (Matteo 25:23).

 

Il fallimento mi ha insegnato la protezione di Dio. L’umiltà e l’affidamento a Lui che ho acquisito grazie agli errori mi hanno evitato fallimenti ben peggiori (2 Cor. 12:7).

 

Il fallimento mi ha insegnato l’importanza del sonno. Molti dei miei fallimenti sono stati il risultato di una stanchezza eccessiva o di un eccesso di impegni. Se riesco a gestire meglio la mia vita e a riposare bene, mi sembra di prendere decisioni migliori a breve e a lungo termine.

 

Il fallimento mi ha insegnato ad adorare Cristo. Se penso a quanti piccoli errori commetto in una settimana e a quanti grandi fallimenti ho in un decennio, mi colpisce pensare che Gesù ha trascorso trentatré anni sulla terra e non ha mai fallito una volta! (Luca 23:4; Eb. 7:26)

 

Il fallimento mi ha insegnato a desiderare il cielo. Il fallimento ci fa guardare verso il cielo, il luogo in cui i fallimenti non saranno mai più percepiti. Lì ricorderemo? Probabilmente sì, ma non con dolore, in quanto coperti dal perdono di Cristo ed esclusivamente per alzare il volume della nostra lode.

 

In cielo vedremo anche i nostri fallimenti da una prospettiva completamente nuova, non solo quelli di natura morale e spirituale, ma anche le nostre delusioni affettive e professionali. Potremo comprendere la saggia provvidenza di Dio nel permettere la rottura di una relazione, il disastro di un colloquio, la perdita di un lavoro, il fallimento di un esame.

 

Sperimenteremo qualche fallimento in Cielo? No, mai. Non falliremo, e non falliranno nemmeno gli altri. Le lacrime di delusione faranno parte del diluvio che sarà asciugato dai nostri occhi (Ap 21:4). Il cielo sarà una grande e lunga storia di grandi vittorie: successi morali, spirituali, intellettuali, fisici, relazionali, professionali e molti altri successi che qui non possiamo neppure sognare.

 

I nostri fallimenti attuali ci spingono a desiderare il paradiso che verrà, affinché si affretti il giorno in cui il dolore del fallimento e il tormento della delusione saranno scomparsi per sempre e il successo glorifico di Dio sarà tutto ciò che conosceremo.

 

Il vostro amico,

David

Tematiche: Grazia, Pastorato, Peccato

David Murray

David Murray

Pastore senior della First Byron Christian Reformed Church, David è counselor, conferenziere e autore di Exploring the Bible. È professore di Antico Testamento e Teologia Pratica al Puritan Reformed Theological Seminary e anche professore al Westminster Theological Seminary.

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