Cos’è l’iper-Calvinismo e perché è una eresia

Ho scritto e spedito quest’articolo perché mi preoccupano alcune subdole tendenze che sembrano indicare una nuova impennata d’iper-Calvinismo, soprattutto fra i ranghi dei giovani calvinisti e dei neo-riformati. Ho notato tali tendenze in numerosi forum teologici riformati su Internet, come pure in mailing lists, Web sites, e forum di Usenet.
Se qualcuno si chiedesse quali siano le mie convinzioni, sono un calvinista. Un calvinista dei famosi “5 punti”, e sostengo senza riserve i Canoni del Sinodo di Dort. E quando parlo d’iper-Calvinismo, non uso il termine come se fosse un avventato peggiorativo. Non sono un arminiano che etichetta come “iper” tutto il Calvinismo. Quando utilizzo il termine, lo uso nel suo significato storico.
La storia c’insegna che l’iper-Calvinismo è una minaccia tanto per il vero Calvinismo quanto per l’Arminianesimo. Quasi ogni risveglio di vero Calvinismo, a partire dall’èra puritana, è stato dirottato, storpiato, o sostanzialmente annientato, da influenze iper-calvinistiche. I moderni calvinisti, dunque, faranno bene a guardarsi dall’influsso di queste nefaste tendenze.

 

 

 

Phil Johnson

 

L’iper-Calvinismo, in parole povere, è una dottrina che accentua la sovranità divina a esclusione della responsabilità umana. Chiamarlo “iper-Calvinismo” è alquanto improprio. In effetti, siamo di fronte a un rifiuto del Calvinismo storico. L’iper-Calvinismo implica un rinnegamento di ciò che s’insegna sia nella Scrittura sia nei principali Credo calvinistici, sostituendovi una nozione della sovranità divina che si rivela sbilanciata e non biblica.
L’iper-Calvinismo si presenta sotto svariate forme, perciò non è possibile caratterizzarlo in termini semplici o stringati. Eccone alcune definizioni su cui riflettere. Le commenterò brevemente, per poi proporre una definizione più esauriente.

 

Da un noto dizionario teologico:

1. [L’iper-Calvinismo] è un sistema approntato per esaltare l’onore e la gloria di Dio, e persegue tale fine minimizzando perspicacemente la responsabilità morale e spirituale dei peccatori … Sovradimensiona la grazia irresistibile, a tal punto che non sembra esserci più alcun bisogno di evangelizzare; inoltre, Cristo può essere offerto soltanto agli eletti

2. È quella scuola dei “cinque punti” del Calvinismo sovralapsario [N.B.: una scuola di sovralapsarismo, non il sovralapsarismo in generale] che, accentuando eccessivamente la volontà segreta di Dio rispetto a quella rivelata, e l’eternità rispetto al tempo, mette così tanto in risalto la sovranità di Dio da minimizzare la responsabilità dei peccatori, soprattutto per quanto attiene al ripudio dell’uso della parola “offerta” in relazione alla predicazione del Vangelo; in tal modo, mina alla base l’universale dovere dei peccatori di credere nel Signor Gesù in maniera salvifica, con la certezza che Cristo sia effettivamente morto per loro, e incoraggia l’introspezione nel tentativo di sapere se si è “eletti” oppure no. [Peter Toon, “Hyper-Calvinism”, New Dictionary of Theology (Leicester: IVP, 1988), 324.]

 

Notiamo tre punti cruciali in questa definizione:
Primo, mette giustamente in evidenza che gli iper-calvinisti tendono a evidenziare la volontà segreta (o decisiva) più che quella rivelata (o precettiva) di Dio. Anzi, in ogni loro discorso sulla “volontà di Dio”, gli iper-calvinisti offuscano ripetutamente qualsiasi distinzione tra la volontà di Dio rivelata nei Suoi comandamenti e quella manifestata nei Suoi eterni decreti. Eppure questa distinzione è parte essenziale della teologia riformata storica. (Vedi John Piper, “Are There Two Wills in God? Divine Election and God’s Desire for All To Be Saved” in Thomas R. Schreiner (a cura di), The Grace of God and the Bondage of the Will, 2 vol., Grand Rapids, Michigan (USA): Baker, 1995, 1:107-131.)

Secondo, notiamo il risalto che la succitata definizione dà al “ripudio [da parte degli iper-calvinisti] dell’uso della parola «offerta» in relazione alla predicazione del Vangelo”. Questa è, sostanzialmente, l’epitome dello spirito iper-calvinistico: il rifiuto che il messaggio del Vangelo includa una qualsiasi proposta di misericordia divina ai peccatori in generale.

Terzo, notiamo il fatto che l’iper-Calvinismo “incoraggia l’introspezione nel tentativo di sapere se si è «eletti» oppure no”. La certezza tende a essere vaga per chi è sotto l’influsso dell’insegnamento iper-calvinistico. Perciò, l’iper-Calvinismo degenera molto presto in un dogma freddo e senz’anima. Le chiese e le denominazioni iper-calvinistiche tendono a diventare o sterili e inerti, o militanti ed elitarie (o entrambe le cose).

 

Alcune definizioni comuni (ma non sufficientemente precise).

L’iper-Calvinismo è a volte definito come quella prospettiva secondo cui Dio salverà gli eletti a prescindere da qualsiasi mezzo. Alcuni iper-calvinisti moderni (ben pochi, in realtà) appoggiano questa visione estrema e si oppongono a ogni forma di evangelizzazione e di predicazione nei confronti dei non salvati, perché ritengono che Dio salverà chiunque Egli abbia scelto, a prescindere da mezzi umani.

L’esempio più famoso di questo tipo d’iper-Calvinismo è quello di John Ryland, che, quando udì William Carey parlare di voler diventare missionario in India, gli disse: “Tranquillo, giovanotto! Quando Dio deciderà di salvare i pagani, lo farà senza bisogno di un aiuto da parte tua!”.

 

Un’altra comune, ma altrettanto imprecisa definizione è quella che identifica l’iper-Calvinismo con il fatalismo. Il fatalismo è un determinismo meccanicistico, antitetico alla nozione di un Dio personale. Benché sia vero che i tipi più estremi d’iper-Calvinismo tendano a spersonalizzare Dio, non è esatto descrivere tutti gli iper-calvinisti come fatalisti.

 

L’iper-Calvinismo è spesso identificato con il sovralapsarismo e la doppia predestinazione. Ma è possibile essere sovralapsari e sostenere un certo tipo di “doppia predestinazione”, senza per questo abbracciare l’iper-Calvinismo. (Potenzialmente, tutti gli iper-calvinisti sono sovralapsari, ma non tutti i sovralapsari sono iper-calvinisti. Per maggiori informazioni sul sovralapsarismo, vedi le mie “Notes on Supralapsarianism & Infralapsarianism”),

 

Infine, alcuni critici, senza neppure pensarci, appioppano l’etichetta “iper” a qualsiasi tipo di Calvinismo che presenti una visione più grande di quella cui loro stessi si attengono. Agli arminiani piace identificare ogni Calvinismo dei “cinque punti” con l’iper-Calvinismo (come, ad esempio, fa un autore della Calvary Chapel, George Bryson, nel suo orribile libretto, The Five Points of Calvinism: “Weighed and Found Wanting” [Costa Mesa, California (USA): Word for Today, 1996]). Quest’approccio manca di onestà e serve soltanto a confondere le persone.

 

Una definizione in cinque punti.

La definizione che intendo proporre, tratteggia cinque tipi d’iper-Calvinismo, qui di seguito elencati in ordine digradante, a partire da quello peggiore fino a quello meno estremo (che alcuni forse preferirebbero classificare come “Calvinismo ultra-alto”):

 

 

Tutte e cinque questi tipi d’iper-Calvinismo minano alla base l’evangelizzazione, o stravolgono il messaggio del Vangelo.

 

Molti iper-calvinisti moderni si tranquillizzano pensando che la loro prospettiva non sia poi veramente iper-calvinista, perché, in fin dei conti, loro credono alla proclamazione universale del Vangelo. Eppure il “Vangelo” che essi proclamano è una forma di soteriologia tronca, caratterizzata da un’indebita enfasi sulla decisione di Dio che riguarda i reprobi. Un iper-calvinista, in reazione ai miei commenti su quest’argomento in una mail list, ha dichiarato: “Il messaggio del Vangelo è che Dio salva coloro che sono i Suoi e condanna quelli che non lo sono”.

 

Così, la “buona notizia” riguardo alla morte e risurrezione di Cristo è soppiantata da un messaggio sull’elezione e la riprovazione – di solito mettendo in eccessivo risalto quest’ultima. In pratica, il “vangelo” iper-calvinista si riduce spesso al messaggio secondo cui Dio, semplicemente e risolutamente, odia quelli che ha scelto di condannare, e non c’è nulla che essi possano fare in proposito.

 

Qualunque supplica nei confronti del peccatore a riconciliarsi con Dio, è deliberatamente scartata dall’“evangelizzazione” iper-calvinistica. Ai peccatori non si fa sapere che Dio offre loro perdono e salvezza. Anzi, la maggior parte degli iper-calvinisti nega categoricamente che nel Vangelo ci sia da parte di Dio un’offerta di qualsiasi genere.

 

La posizione iper-calvinista a questo punto equivale a un ripudio dell’essenza stessa di 2 Corinzi 5:20: “Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio”. La forza globale del Vangelo, presentato in modo appropriato, è di comunicare un’offerta (nel senso di una proposta) di pace e misericordia divina a tutti coloro che arrivano a udirla.

 

Il linguaggio usato dall’apostolo è ancora più forte, perché fa pensare che il vero predicatore del Vangelo supplica i peccatori di riconciliarsi con Dio – o meglio, è “nel nome di Cristo” che egli supplica i peccatori. In sostanza, rinnegando il concetto di responsabilità umana, l’iper-Calvinismo deve eliminare qualsiasi genere di supplica e finisce per presentare il Vangelo in modo distorto.

 

Esaminiamo ora singolarmente ciascuno dei cinque tipi d’iper-Calvinismo.

 

1. La negazione della chiamata del Vangelo.

Questo primo e più estremo tipo d’iper-Calvinismo nega che il Vangelo chiami tutti i peccatori al pentimento e alla fede. La chiamata del Vangelo (l’invito ad andare a Cristo per la salvezza – Ap 22:17; Mt 11:28-29; Is 45:22; 55:1-7) è negata a tutti tranne che agli eletti.

 

La teologia riformata storica fa notare che la Scrittura dà due significati diversi alla parola “chiamata”. L’apostolo Paolo solitamente usa il termine per intendere la chiamata efficace, con cui un peccatore eletto è sovranamente condotto alla salvezza da parte di Dio. Ovviamente, questa “chiamata” si applica ai soli eletti (Ro 8:28-30).

 

Ma la Scrittura parla anche di una chiamata generale. In Matteo 22:14, Gesù disse: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. Qui, quelli che sono “chiamati” sono chiaramente superiori, in numero, agli eletti. Perciò, il Signore sta ovviamente usando il termine “chiamata” in un senso diverso da quello usato dall’apostolo Paolo in Romani 8:30.
La chiamata generale, nota a volte come chiamata esterna, è la chiamata alla fede e al pentimento che è inerente al messaggio stesso del Vangelo. Quando si predica il Vangelo, la chiamata generale è rivolta indiscriminatamente a tutti coloro che si trovano ad ascoltare la predicazione del Vangelo. Questa chiamata è divulgata dal predicatore in qualità di “ambasciatore” di Cristo.

 

La chiamata efficace, talvolta conosciuta come chiamata interna, è l’opera rigeneratrice di Dio nel cuore dei Suoi eletti, con cui Egli li attira a Cristo e apre alla fede il loro cuore. Questa chiamata è rivolta ai soli eletti ed è comunicata solamente da Dio.
Questo primo tipo d’iper-Calvinismo rinnega la chiamata generale, esterna, e insiste nell’affermare che il Vangelo andrebbe predicato in modo da presentare i fatti dell’opera di Cristo e della grazia elettiva di Dio – senza chiamare nessuno a fare alcunché.

 

Questa è la peggior forma d’iper-Calvinismo in voga oggi. La classificherei come un errore estremamente grave, ancor più pericolosa del peggior tipo di Arminianesimo. Se non altro, un arminiano predica abbastanza Vangelo perché gli eletti ne vengano a conoscenza e siano salvati. L’iper-calvinista che rinnega la chiamata del Vangelo non crede neppure nel fatto di chiamare a Cristo i peccatori. Teme quasi di sussurrare gli inviti del Vangelo ad altri credenti, per non far sì che qualcuno l’accusi di violare la sovranità divina.

 

Gli iper-calvinisti inglesi (la maggior parte dei quali è di stampo battista), gli iper-“Gospel Standard” americani e i Primitive Baptists si sono solitamente attenuti a questa dorma d’iper-Calvinismo. Generalmente si oppongono a qualsiasi tipo di evangelizzazione. Si atterrebbero anche (abitualmente) a tutti e cinque gli errori dell’iper-Calvinismo prima elencati. La loro oratoria tende a essere estremamente arrogante ed elitaria – il che è un naturale sviluppo di questa teologia. Normalmente, sostengono che soltanto loro sono conformi e leali alle dottrine della sovranità divina, ed etichettano ogni altra prospettiva come “arminiana” o (ultimamente) come “ipo-calvinista”.

 

William Huntington, pastore britannico indipendente (di stampo battista) degli inizi del XVIII secolo, è il “padrino” di questa posizione. Questo tipo d’iper-Calvinismo ha spesso anche forti tendenze antinomistiche, rintracciabili in Huntington, il quale negava che la legge morale sia vincolante come regola di vita per il cristiano. Questo tipo di antinomismo si armonizza bene con la negazione iper-calvinista della responsabilità umana. (È anche un’estensione dell’altrettanto errato pensiero che nega la volontà precettiva di Dio).

 

2. La negazione della fede come dovere.

Questo tipo d’iper-Calvinismo lascia intendere che, poiché i non credenti non sono in grado di mostrare fede, a prescindere da un’azione abilitante della grazia, credere in Cristo non dev’essere mai presentato loro come un dovere. (Vedi l’eccellente articolo “Duty-Faith” [“Dovere-Fede”], con cui Arthur Pink confuta questa nozione errata).

 

Chi sostiene questa posizione fa ogni sforzo per negare che la fede sia mai presentata nella Scrittura come un dovere per il non rigenerato. (Ovviamente, è necessaria una certa distorsione scritturale per giustificare tale opinione! Vedi, p. es., Atti 17:30.) Piuttosto, i paladini di questa posizione lasciano intendere che ogni peccatore deve cercare una prova della propria fede, prima di poter pretendere di esercitare fede in Cristo. Il peccatore lo fa cercando prove del fatto di essere un eletto (una nozione assolutamente assurda, questa, giacché la fede è l’unica, vera prova dell’elezione).

 

Ovviamente, questo tipo d’iper-Calvinismo tende a rendere i peccatori ossessionati da convinzione di peccato ed esame di coscienza. Chi sostiene questa posizione, ben di rado conosce una vera e stabile certezza.

La negazione che la fede sia un dovere del peccatore evidenzia come l’iper-Calvinismo e l’Arminianesimo nascano dalla stessa falsa nozione. L’unica falsità che è alla base sia dell’Arminianesimo sia dell’iper-Calvinismo è l’errata supposizione che l’incapacità umana renda nulla la responsabilità.

 

L’arminiano ragiona così: “Se i peccatori sono incapaci di manifestare fede, a prescindere dall’azione abilitante della grazia di Dio, allora il Vangelo non li inviterebbe a credere. Perciò, i peccatori non devono poi trovarsi in uno stato così derelitto”. E così, l’arminiano adatta il messaggio in modo tale da rendere nulla la dottrina dell’incapacità umana.

Dall’altra parte, l’iper-calvinista ragiona così: “Se i peccatori sono incapaci di fede a prescindere dalla grazia abilitante di Dio, allora il Vangelo non li inviterebbe alla fede. Perciò, il Vangelo non può veramente intendere che la fede sia un dovere del non credente”. E così, l’iper-calvinista adatta il messaggio in modo da rendere nulla la responsabilità del peccatore.

 

Lo scozzese John Macleod, esperto di storia della chiesa, ha pure notato che tanto gli arminiani quanto gli iper-calvinisti sbagliano sullo stesso punto. Ecco che cosa scrive:

Quando esaminiamo a fondo la questione, scopriamo [nell’iper-Calvinismo] la diffusa posizione arminiana secondo cui la responsabilità dell’uomo è limitata dalla sua capacità … Ognuna delle due fazioni usa il principio a partire dal proprio punto di vista. Ma mancano entrambe di riconoscere che il peccatore è responsabile della sua impotenza spirituale. Essa è frutto del peccato; ma il peccato dell’uomo non annulla né mette fuori gioco il diritto di Dio di richiedere … [ubbidienza,] servizio, pentimento e fede [nonostante che] le Sue creature peccatrici si siano auto-disattivate dall’abbandonarsi a Lui. Il Suo diritto a presentare la Sua richiesta è totalmente e assolutamente intatto … C’è una gloriosa superiorità, rispetto ai ragionamenti umani, dimostrata da Colui che comanda ai sordi di udire e ai ciechi di guardare affinché possano vedere. Essi non possono fare ciò che Egli comanda loro, eppure Egli pretende ciò che è Suo … Per quanto ci sforziamo, non possiamo esimerci dal dovere che ci vincola a essere tutto ciò che Dio vuole che siamo e a fare tutto ciò che Egli vuole che facciamo. Questo è il nostro peccato, e non soltanto la nostra miseria: non essere in grado di rendere omaggio al nostro Creatore e Re, come Egli richiede da noi. [Scottish Theology (Edimburgo: Banner of Truth, 1974 ristampa), p. 141-142.]

 

In altre parole, l’incapacità del peccatore di ubbidire a Dio non annulla il suo dovere di ubbidire. Questo è un punto critico – forse il più cruciale di tutti – perché è quello che essenzialmente distingue il vero Calvinismo non solo dall’Arminianesimo ma anche dall’iper-Calvinismo. Sia gli arminiani sia gli iper-calvinisti protesteranno che è illogico o ingiusto insegnare che Dio richieda ciò che il peccato ci rende incapaci di fare.

 

Ma non è né illogico né ingiusto! Il peccato stesso è una questione morale, e poiché il peccato è causa della nostra incapacità, quest’ultima, come affermò anche Jonathan Edwards, è un’incapacità morale, non naturale. Il difetto nell’essere umano è dovuto a lui, non a Dio. Perciò, l’incapacità umana è qualcosa di cui l’uomo stesso è colpevole; quindi, essa non può essere vista come qualcosa che esonera il peccatore dalle sue responsabilità.

 

Su questo punto, anche il secondo tipo d’iper-Calvinismo non è migliore dell’Arminianesimo; anzi, entrambi scaturiscono dalla stessa fonte inquinata.

 



3. La negazione dell’offerta del Vangelo.

Il terzo tipo d’iper-Calvinismo si basa sulla negazione che il Vangelo proponga una qualsiasi “offerta” di Cristo, della salvezza, o della misericordia ai non eletti. Un’alternativa a questa prospettiva semplicemente nega che l’offerta della misericordia divina sia gratuita e universale. Per un’eccellente disamina di questo tema, vedi “The Free Offer of the Gospel”, di John Murray e Ned B. Stonehouse (disponibile anche sul sito della Chiesa Presbiteriana Ortodossa – www.opc.org/GA/free_offer.html)

 

Se gli iper-calvinisti britannici tendono a essere battisti, in America sembrano essere più comuni vari tipi di presbiteriani. Fra gli iper-calvinisti americani più famosi ci sono le Chiese Protestanti Riformate (PRC). Esse negano che esista un qualsiasi tipo di “offerta” (nel senso di proposta di misericordia) nel messaggio del Vangelo. Negano altresì di essere iper-calvinisti, perché sostengono che l’unico tipo d’iper-Calvinismo è quello che nega la chiamata del Vangelo (il primo tipo preso in considerazione).

 

Il difensore più strutturato della posizione delle Chiese Protestanti Riformate (PRC) è David Engelsma, il cui libro Hyper-Calvinism and the Call of the Gospel (“L’iper-Calvinismo e la chiamata del Vangelo”) è un interessante ma, a mio parere, terribilmente fuorviante studio sulla questione se la teologia delle chiese PRC sia giustamente qualificabile come iper-Calvinismo oppure no. Engelsma fa un po’ di citazioni selezionate e di ginnastica interpretativa per sostenere che la sua prospettiva è teologicamente appartenente alla corrente principale riformata.

Ma una lettura attenta delle sue fonti dimostrano che spesso egli fa citazioni fuori contesto, oppure termina una citazione proprio prima di un’affermazione qualificante, che negherebbe totalmente il punto che lui pensa d’aver stabilito. Eppure, per chi è interessato a queste questioni, raccomando il suo libro, con l’accortezza di leggerlo in modo molto critico e con attento discernimento.

 

4. La negazione della grazia comune.

Le Chiese Protestanti Riformate (PRC – vedi paragrafo 3) sono scaturite da una controversia tra Herman Hoeksema e le Chiese Cristiane Riformate sul tema della grazia comune. Hoeksema ne negava l’esistenza, e durante la controversia, furono fondate le Chiese Protestanti Riformate (PRC).

 

L’idea della grazia comune è implicita in tutta la Scrittura. “Il Signore è buono verso tutti, pieno di compassioni per tutte le Sue opere” (Sl 145:9). “Egli fa giustizia all’orfano e alla vedova … ama lo straniero e gli dà pane e vestito. Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto” (De 10:18-19). “Amate i vostri nemici, [benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano,] e pregate per quelli [che vi maltrattano e] che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli…” (Mt 5:44-45).

 

La distinzione tra “grazia comune” e “grazia speciale” corrisponde strettamente alla distinzione tra “chiamata generale” e “chiamata efficace”. La grazia comune è estesa a ciascuno. È la bontà di Dio nei confronti degli esseri umani in generale; con essa, Dio misericordiosamente reprime la piena espressione del peccato e mitiga gli effetti distruttivi del peccato all’interno della società umana. La grazia comune impone vincoli morali al comportamento della gente, mantiene una sembianza di ordine negli affari umani, impone un senso di ciò che è giusto e sbagliato attraverso la coscienza e il governo civile, mette in condizione uomini e donne di apprezzare la bellezza e la bontà, ed elargisce benedizioni di ogni genere tanto agli eletti quanto ai non eletti. Dio “fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5:45). Questa è la grazia comune.

 

La dottrina della grazia comune ha una lunga storia alle spalle che arriva a Calvino e persino ad Agostino. Ma il quarto tipo d’iper-Calvinismo ne rinnega il concetto, sostenendo che Dio non nutre alcuna benevolenza nei confronti dei non eletti; è per questo che non mostra loro nessun tipo di favore o di “grazia”.

 

 

5. La negazione dell’amore di Dio nei riguardi dei reprobi.

Il quinto tipo d’iper-Calvinismo è strettamente legato al quarto. Dire che Dio in nessun modo ama i reprobi, significa suggerire che Egli pretende da noi un livello superiore a quello cui Lui stesso si attiene, perché Dio c’insegna ad amare i nostri nemici – e la Scrittura spiega che, quando amiamo i nostri nemici, stiamo agendo allo stesso modo di Dio, il quale mostra longanimità anche nei confronti dei reprobi (De 10:18; Mt 5:44-45).

 

Inoltre, sostenere che il comportamento di Dio verso i non eletti sia sempre e soltanto dettato dall’odio, significa, di fatto, negare la “grazia comune” (il che è lo stesso errore del quarto tipo d’iper-Calvinismo).

 

Ci sono alcuni che adottano questa prospettiva, eppure (in maniera incoerente) fanno in modo di evitare altre opinioni iper-calvinistiche. Il più influente sostenitore di questo quinto tipo d’iper-Calvinismo è stato Arthur Pink. Francamente, esito un po’ a etichettarlo come “iper-calvinista”, perché negli ultimi anni della sua vita ha combattuto i tipi più importanti d’iper-Calvinismo. Pochi altri teologi puritani e riformati ortodossi hanno negato l’amore di Dio nei confronti dei reprobi. Sono una netta minoranza, e tuttavia hanno sostenuto questa idea. Si tratta di una tendenza iper-calvinistica, ma non tutti coloro che l’avallano sono iper-calvinisti in qualsiasi altro modo.

 

Questo errore nasce dall’incapacità di distinguere tra l’amore redentivo di Dio, riservato ai soli eletti, e il Suo amore compassionevole, che si esprime attraverso la bontà che Egli manifesta a tutte le Sue creature (cfr. Mt 5:44-45; At 14:17). Come eccellente antidoto alla nozione che Dio ama soltanto gli eletti, leggi l’ottimo articolo di R.L. Dabney, “God’s Indiscriminate Proposals of Mercy” (“Le indiscriminate proposte di misericordia di Dio”).

 

Vedi anche:
– A Brief Critique of Hyper-Calvinism, di C. Matthew McMahon
– A review of David J. Engelsma’s Hyper-Calvinism and the Call of the Gospel, di C. Matthew McMahon
– Hyper-Calvinism in the Light of Calvin, di Jeffrey Khoo
– A Reply to Baptist Hypercalvinism from Vindiciæ Legis et Fœderis, di John Flavel
– Calvinism, di A. Allison Lewis

 

(Traduzione a cura di Gianfranco Piccirillo)

 

Tematiche: Evangelizzazione, L'amore di Dio, Teologia

Phil R. Johnson

Phil Johnston
Phil è il direttore esecutivo di Grace to You e serve come associato del pastore John MacArthur dal 1981 e redige la maggior parte dei libri di MacArthur. E’ curatore di due importanti siti web tra cui The Spurgeon Archive e The Hall of Church History.

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