Il frutto amaro dell’uomo pauroso

 

 

La paura dell’uomo, a differenza di altri peccati più evidenti, spesso si nasconde dietro varie maschere d’amore. Perseguita il timoroso e vulnerabile mentre indossa la mimetizzazione, coprendo la malizia con l’apparenza di sicurezza, calore, gentilezza e persino altruismo. Sfrutta amicizie, matrimoni, famiglie, chiese e luoghi di lavoro, spesso senza che nessuno se ne accorga. E poiché uccide senza pistola, copre bene le sue tracce. Almeno per un po’ di tempo.

 

Sebbene la paura dell’uomo possa essere difficile da discernere o da individuare in un dato momento, le macerie lasciate ci dicono tutto quello che dobbiamo sapere (se abbiamo il coraggio di guardare). Almeno nella mia esperienza personale, può essere difficile distinguere l’amore dalla paura nel contesto di situazioni difficili o complesse, ma è molto più facile vedere le conseguenze della paura peccaminosa nel tempo. Il profeta Geremia ci ha messo in guardia da tali conseguenze.

 

Così parla il SIGNORE:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo
e fa della carne il suo braccio,
e il cui cuore si allontana dal SIGNORE!
Egli è come una tamerice nel deserto:
quando giunge il bene, egli non lo vede;
abita in luoghi aridi, nel deserto,
in terra salata, senza abitanti. (Geremia 17:5-6)

 

Vedo la paura dell’uomo più chiaramente nel mio cuore quando comincia a prosciugare il succo vitale dalla mia anima – quando sono afflitto dall’aridità inquieta che produce in me e nelle mie relazioni. Il consulente Ed Welch chiama questi versetti poco conosciuti il classico testo sulla paura dell’uomo.

 

Il frutto della paura

Quando assecondiamo la paura dell’uomo, per quanto buone possano sembrare le nostre intenzioni, esse ci condurranno lentamente verso luoghi aridi (Geremia 17:5-6). L’amore libera, delizia, sopporta, straripa; la paura dell’uomo opprime, disidrata e addirittura soffoca. E chi ha alimentato le proprie paure lo sa. Cercando di rendere tutti felici, senza una profonda, intensa, stabilizzante felicità in Dio, ci si può sentire come qualcuno che corre una maratona, o dieci maratone, nel deserto. Peggio ancora, possiamo sentirci come un semplice arbusto in quel deserto, senza nemmeno la possibilità di correre, di muoversi o di fare qualcosa. E senza alcuna speranza di aiuto, di sollievo, o di alcun bene nell’avvenire (Geremia 17:6). Ci sentiamo piccoli, fragili, esausti e biasimati.

 

Fingendo di non guardare ai nostri interessi, ma agli interessi degli altri, siamo tranquillamente consumati dall’interesse degli altri. Ogni correzione o critica si sente minacciosa, ostile, condannante. E la mancanza di affermazione è come una critica. Le debolezze destinate a condurci all’umiltà e alla fede diventano terroristi che ci perseguitano. Le relazioni sono meticolosamente misurate, coltivate e curate in base a ciò che dicono di noi (e ognuna di esse inevitabilmente ci espone o ci delude in un modo o nell’altro). Oscilliamo tra l’ingozzarsi di fiducia in sé stessi e il crogiolarsi nell’autocommiserazione. Tutto ciò ci rende irrequieti, nervosi, sospettosi e disperatamente assetati di pace. Un arbusto fragile in un deserto vasto e torrido.

 

E quella spaventosa selva della paura si estende a dismisura finché non arriva ad essere tutto ciò che vediamo. Vediamo solo nostra moglie, nostro marito, i nostri figli, i nostri genitori, i nostri amici, i nostri colleghi, i nostri vicini, la nostra famiglia della chiesa attraverso la foschia calda e opprimente della nostra paura dell’uomo – una foschia che diventa solo più fitta e pesante nel tempo. E poiché ci siamo abituati ad essa, iniziamo lentamente a pensare che il disagio e l’insicurezza siano proprio ciò che l’amore prova.

 

La tragedia (e l’ironia) è che seguiamo la paura dell’uomo fino all’autoisolamento – una terra “disabitata” (Geremia 17:6). Sforzandoci febbrilmente di piacere a tutti, inevitabilmente ci tagliamo fuori da tutti. Siamo troppo timorosi e schivi per sperimentare (o estendere) l’amore. Disperati di sentirci amati, rinunciamo all’amore. E l’arido, stanco, deserto abbandonato che creiamo per noi stessi diventa più spaventoso di qualsiasi altra cosa (o chiunque altro) che una volta temevamo. La paura genera la paura che a sua volta genera la paura.

 

Questi sono sintomi rivelatori della paura dell’uomo: aridità spirituale, insicurezza irrequieta, ansia irrazionale, paura crescente, isolamento emotivo.

 

Che cos’è la paura dell’uomo?

Geremia non descrive solo i sintomi della paura dell’uomo. Ci aiuta anche a capire cosa significa veramente avere paura dell’uomo. “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dal Signore!” (Geremia 17:5). La paura dell’uomo non è solo temere ciò che gli altri potrebbero pensare, dire o fare, ma affidarsi a loro, invece che a Dio e a tutto ciò che egli è per noi in Cristo. La paura dell’uomo è la fedeltà ultima: Ci nascondiamo nella grazia e nell’aiuto di Dio o nella lode e nell’approvazione delle persone?

 

Ai tempi di Geremia, il regno settentrionale di Israele era già stato conquistato e catturato dall’Assiria, e ora Babilonia stava sorgendo come una nube di tempesta su Giuda. Di fronte a una certa e terribile distruzione, però, il popolo di Dio non correva verso Dio, ma verso l’uomo. Nonostante quante volte Dio avesse salvato, liberato e prevalso attraverso di loro, essi correvano alla ricerca di semplici uomini con semplici cavalli e semplici carri (Geremia 12:5). E Il cuore che si rivolge agli uomini non può rivolgersi a Dio.

 

Rivolgersi agli uomini, in questo modo, è allontanarsi da lui (Geremia 17:5). Nonostante quello che la paura dell’uomo predica con tanta passione, non possiamo servire due padroni. La nostra forza, la nostra speranza, la nostra gioia e la nostra identità saranno definitivamente ancorate in Dio o nelle persone. Se temiamo l’uomo, gli uomini (e le donne), essi saranno la nostra fonte di forza (Geremia 17:5). Nei nostri momenti più deboli faremo affidamento su ciò che le persone possono fare o dire (Isaia 30:12), piuttosto che su ciò che Dio può fare o ha detto. Passeremo tutto il nostro tempo a consultare i coniugi, gli amici e i consiglieri (Isaia 31:1), e nel frattempo saremo troppo occupati o preoccupati ed indugeremo nella lettura della parola Dio e nella preghiera.

 

La sofferenza, in particolare, è una prova affidabile. Il timore di Dio e il timore dell’uomo gestiscono le prove di vario genere in modo molto diverso. Lo stress e l’angoscia hanno la capacità di far vedere dove si trovano realmente la nostra fiducia e la nostra forza. La sofferenza, sia che si tratti dell’oppressione di Babilonia o di qualsiasi dolore, fa inevitabilmente sparire le nostre pretese di devozione. Quando le comodità svaniscono, le aspettative falliscono, e i sogni cominciano a vanificare, dove troveremo la forza? Dove troveremo i nostri cuori? Ci presenteremo audacemente davanti al trono della grazia e tenderemo le mani a un Padre amorevole, misericordioso e sovrano? O, più spesso, cercheremo qualcuno, chiunque, qualcun altro, per calmare e fortificare le nostre anime?

 

La paura dell’uomo guarda disperatamente a destra e a manca senza mai alzare lo sguardo.

 

Un timore di gran lunga migliore

Gli occhi del cuore di Geremia, tuttavia, erano fissati al cielo. Non importa quanto fosse deriso, respinto e disprezzato dagli uomini. Temendo Dio, non l’uomo, egli guardava a Dio e non all’uomo.

 

Conoscere le terribili conseguenze della paura dell’uomo non sarà sufficiente per superare la tentazione. Dobbiamo sapere dove trovare la forza e la sicurezza che siamo così inclini a cercare l’uno nell’altro. Dopo aver esposto ciò che la paura dell’uomo suscita nell’anima, Geremia dipinge un cuore diverso, più vibrante, più fecondo e più sicuro:

 

Benedetto l’uomo che confida nel SIGNORE,
e la cui fiducia è il SIGNORE!
Egli è come un albero piantato vicino all’acqua,
che distende le sue radici lungo il fiume;
non si accorge quando viene la calura
e il suo fogliame rimane verde;
nell’anno della siccità non è in affanno
e non cessa di portare frutto». (Geremia 17:7-8)

 

Chi teme gli uomini atterra in un deserto pieno di paura, ma chi ha fiducia in Dio si sveglia lungo corsi d’acqua di fiducia. “Molti dolori subirà l’empio; ma chi confida nel Signore sarà circondato dalla sua grazia” (Salmo 32:10).

 

Le radici delle loro anime, un tempo deboli, secche, irrequiete e fragili, ora crescono forti, vitali e coraggiose. I commenti che un tempo li atterrivano non hanno lo stesso peso. Le decisioni che li hanno paralizzati non li tengono più in ostaggio. Le debolezze diventano finestre invitanti sulla forza di Dio. Anche quando il resto della vita si prosciuga e si percepisce dura, pesante e dolorosa, i loro pozzi scorrono profondamente e rigogliosamente. Anche se le piogge si ritirano e ogni altro albero ansima per una sola goccia di sollievo, le loro foglie rimangono verdi. E le loro vite portano frutti sorprendenti.

 

La tua paura è maledetta o benedetta?

Alla fine, l’opposto di temere l’uomo, biblicamente parlando, non è un’assenza di paura, ma un profondo, sano, riverente, fiducioso timore di Dio (Proverbi 14:27). La paura genera la paura che a sua volta genera la paura, a meno che le radici della paura peccaminosa non siano recise da Dio, ed Egli diventi il nostro primo e più grande timore. Allora ogni altro timore svanisce lentamente. La paura cede il passo ad una pace più piena. L’ansia lascia il posto a una stabilità insolita. La preoccupazione cede il passo a una gioia radicata.

 

“Maledetto è l’uomo che confida dell’uomo” (Geremia 17:5). “Benedetto l’uomo che confida nel Signore” (Geremia 17:7). Possiamo avere difficoltà nel discernere la paura dell’uomo in un dato momento, ma la posta in gioco non potrebbe essere più alta (o più chiara) – e la ricompensa del temere Dio, in Cristo, non potrebbe essere più dolce, più sicura o più stabile.

 

 

 

Traduzione a cura di Davide Ibrahim

 

 

Tematiche: Paura, Vita Cristiana

Marshall Segal

Marshall Segal

 

E’  il caporedattore di desiringGod.org, per il quale scrive anche articoli. Si è laureato presso il Bethlehem College & Seminary ed è l’autore del libro Non ancora sposati: trovare la vera gioia nelle relazioni sentimentali. Marshall e sua moglie Faye hanno un figlio e vivono a Minneapolis.

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