La mansuetudine è segno di debolezza? – Alcune riflessioni sulla mitezza

 

Qual è la prima parola che ti viene in mente se dico “pastore”?

Non credo che penserai “gentile e mite”. Gli eroi di solito non sono conosciuti per la loro dolcezza e mitezza, ma piuttosto per la grande potenza, abilità e forza di volontà con cui compiono le loro gesta. Eccellono in arroganza, non in umiltà.

 

Ho sempre pensato di essere gentile e mite. Quando leggevo le liste di virtù del Nuovo Testamento, la mansuetudine non ha mai attirato la mia attenzione. Da giovane ho pregato spesso per vincere la lussuria, ho lottato contro l’orgoglio, ho cercato d’allontanare da me la pigrizia. Sapevo di dover combattere contro un mostro a tre teste composto da questi tre peccati mortali, ma ad un certo punto, mentre ero impegnato nell’assalto frontale contro il mio Cerbero, un piccolo e subdolo peccato si è originato di soppiatto nel mio cuore e mi ha colpito alle spalle. Lo si può chiamare con molti nomi: durezza, asprezza, arroganza, prepotenza… di certo è il contrario della mansuetudine e della gentilezza.

 

Come ho scoperto questo piccolo e subdolo peccato? Un giorno un caro fratello è stato molto coraggioso: mi ha detto che spesso potevo risultare duro e intimidatorio, al punto che non era sicuro di poter servire al mio fianco nel collegio degli anziani della chiesa. Le sue parole mi hanno sbalordito… Non potevo crederci. Questo fratello era saggio, devoto e sapevo che voleva il meglio per me e per la chiesa che entrambi amavamo.

 

Il mio peccato m’ingannava

Abbiamo dovuto scavare a fondo. Gli ho chiesto di prendere da parte un paio di anziani della chiesa con cui si sentiva a suo agio a parlare di questo tema. Così ci siamo seduti per parlare e pregare tutti e quattro insieme. Il fratello ha raccontato le sue preoccupazioni in modo molto umile, confessando anche le sue stesse debolezze. Mentre parlavamo, ho capito sempre di più quanto spesso ero riuscito nelle mie conversazioni a far sentire gli altri molto piccoli. Mi sono reso conto di quanto di frequente fossi stato una ben misera guida, pur aspettandomi il massimo dei risultati. Ho scoperto che, mentre la mia lussuria, la mia pigrizia e il mio orgoglio erano per lo più sotto controllo, la mia asprezza e prepotenza erano nel pieno del loro vigore.

 

Mi sono chiesto come avessi potuto non vedere questo mio peccato per così tanto tempo. Dopo tutto, pregavo regolarmente, leggevo la Bibbia tutti i giorni e predicavo almeno una volta alla settimana. Ero stato scelto dalla chiesa locale apposta per occuparmi dei peccati di un’intera congregazione; com’era possibile che non mi fossi reso conto del mio stesso peccato?

 

Per farla breve, non lo so, il mio peccato mi ingannava. Il teologo del XIX secolo Archibald Alexander ha scritto: “Qualunque sia il peccato, la mente è sottoposta a un’influenza ingannatrice. Ogni riflessione o motivazione giusta è momentaneamente dimenticata o dominata”. [1] Ha ragione; ero stato indotto a pensare che la schiettezza (parola più gradevole di asprezza) facesse semplicemente parte del mio stile di guida.

 

Man mano che le settimane passavano, il Signore mi ha ricordato che la santificazione è un processo, anche per i pastori. Non solo, ma ho trovato nelle pungenti parole del mio caro fratello la potenza di Ebrei 3:13: “Esortatevi a vicenda ogni giorno, finché si dice: «Oggi», perché nessuno di voi sia indurito per l’inganno del peccato”. La sua esortazione mi ha portato a esaminare nuovamente il mio cuore.

 

Le Scritture mi hanno rigenerato

Come se non bastasse, il suo rimprovero mi ha spinto a leggere le Scritture con un’attenzione rinnovata. Per esempio, quando prima riflettevo su Mosè, pensavo a una guida molto audace che ebbe la meglio su una profonda insicurezza per guidare il popolo di Dio fuori dal paese d’Egitto. È vero; Mosè era un grande difensore della giustizia, ma non è tutto. Man mano che vedevo sempre più chiaramente la mia asprezza e prepotenza, scorgevo in Mosè un uomo trasformato personalmente e potentemente dalla gloria di Dio. La Scrittura lo descrive così: “molto mansueto, più di chiunque altro sulla faccia della terra” (Numeri 12:3).

 

In precedenza, quando meditavo sul frutto dello Spirito, mi fissavo sul mio bisogno di gioia, fedeltà e autocontrollo. Ora invece, la parola “mansuetudine” fuoriusciva dalla pagina e mi chiamava a concentrare il mio cuore su quella particolare componente del frutto dello Spirito (Galati 6:22-23).

 

Prima, ogni volta che leggevo 1 Pietro 5 per studiare il ruolo degli anziani di chiesa, osservavo in particolare la necessità di essere servitori volonterosi, non desiderosi di vile guadagno. Ora però ciò che colpiva la mia attenzione era la chiamata a non essere “dominatori” nei confronti delle pecore (1 Pietro 5:3).

 

Quante volte ho letto 1 Timoteo 3, riflettendo sui requisiti necessari per un anziano? Ero molto attento alla fedeltà nel matrimonio, alla sobrietà e alla rispettabilità, ma a quel punto non potevo più leggere il passo senza che l’espressione “non violento, ma sia mite” si illuminasse come un neon.

 

La nostra chiesa non ha bisogno di un pastore mite

Guidare una chiesa, anche con una pluralità di anziani, non è un compito semplice. Un buon pastore deve essere pronto a ricevere un gran numero di critiche. Fa parte del gioco. Inoltre, ci si aspetta che i pastori sappiano non solo quali siano gli obiettivi e le mete della chiesa, ma che abbiano anche la visione, la sicurezza, la decisione e la risolutezza necessaria per arrivarci. Certe volte, a causa delle nostre menti annebbiate dal peccato, noi pastori non ci rendiamo conto di quanto la mansuetudine possa aiutare allo scopo. Sappiamo che la nostra nazione non ha bisogno di un capo di governo mite, che un esercito non ha bisogno di un generale mite, che un’azienda non ha bisogno di un amministratore delegato debole. Dunque, forse senza ammetterlo, decidiamo che la nostra chiesa non ha bisogno di un pastore mite.

 

La chiesa però non è una nazione, un esercito o un’azienda. Se Dio avesse voluto che fosse guidata da politici, generali o amministratori delegati, avrebbe fatto in modo che fosse così. Piuttosto, nella sua saggezza, ha affidato il futuro della chiesa ad anziani il cui tratto distintivo deve essere l’ammissione della propria debolezza: “Or noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l’eccellenza di questa potenza sia di Dio e non da noi” (2 Corinzi 4:7). Se Gesù ha salvato il mondo svuotando se stesso e umiliandosi (Filippesi 2:7), quanto più ogni anziano deve ricalcare i suoi modi.

 

Come marito, apprezzo molto le parole di Dave Harvey sulla mansuetudine nel matrimonio: “La mansuetudine non ha nulla a che fare con la debolezza o la passività. La mansuetudine è potenza rivestita d’amore […] Nel matrimonio, essere mansueti non equivale a essere deboli o vulnerabili, ma piuttosto a essere talmente devoti al proprio coniuge da sacrificarsi per il suo bene” [2]. Queste parole sono altrettanto appropriate al compito del pastore.

 

La mansuetudine non è un segno di debolezza. Il pastore che sente il bisogno di portare al top la sua chiesa mediante l’esercizio dei suoi propri doni sottovaluta la potenza del vangelo. Se è convinto di dover essere il più intelligente, incisivo, convincente e potente non ha compreso la più basilare delle verità spirituali: Dio si compiace di usare il più mansueto degli uomini perché è evidentemente dipendente da lui. Ciò non significa che un buon pastore deve essere silenzioso, reticente a guidare o insicuro del suo stesso giudizio. Niente affatto! Tuttavia un pastore deve essere “pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira” (Giacomo 1:19).

 

Non sono ancora mite come dovrei, ma sono consapevole della tentazione e so che questa consapevolezza mi rende un marito, un padre e un pastore migliore. So che un giorno il mio ministero finirà; le persone si riuniranno per il mio funerale e spero che in quell’occasione si parlerà più di Gesù che di me. Tuttavia, nella misura in cui sarò ricordato, spero di esserlo come esempio di mansuetudine.

 

Il cammino verso la mansuetudine

Nessuno di noi è mite o mansueto quanto dovrebbe. Cosa puoi fare se pensi che sia un tuo serio problema?

 

  • Trova qualcuno che ti dica la verità con amore e chiedigli: “Sono mansueto?”. Questo mi ha aiutato a capire quanto questa fosse una questione su cui dovevo lavorare. La consapevolezza non comporta una vittoria immediata, ma è di certo un buon inizio.
  • Medita su alcuni testi chiave delle Scritture: Proverbi 15:4; Matteo 5:5; Galati 5:23; Efesini 4:1-3; Colossesi 3:12; 1 Timoteo 6:11; Giacomo 1:21. Soprattutto rifletti sul carattere di Cristo. Paolo ha scritto che tutti i credenti sono “trasformati nella stessa immagine” di Cristo, “di gloria in gloria” (2 Corinzi 3:18). Ciò significa che dobbiamo anche imitare la sua mansuetudine (2 Corinzi 10:1; Matteo 11:29). È difficile studiare versetti come questi e non provare il forte desiderio di essere miti e mansueti.
  • Rifletti sul modo in cui gli altri ti vedono. Se le tue parole, i tuoi toni e il tuo comportamento risultano aspri e insensibili, ripensa al modo in cui comunichi con gli altri. Amare gli altri significa anche compiere sforzi per dimostrare che ci tieni a loro. A volte una mancanza di dolcezza non permette di mostrare chiaramente ciò che provi veramente.
  • Prega Dio affinché ti renda più mite e gentile. Questa è di certo una preghiera a cui il Signore sarà felice di rispondere; egli ama le sue pecore più di quanto tu non faccia e per questo porterà dolcezza e mitezza nei cuori dei pastori che desiderano veramente dimostrare la mitezza e la mansuetudine di Cristo.

 

 

 

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[1] Archibald Alexander, Practical Truths (Harrisonburg, VA: Sprinkle, 1998), 59.

 

[2] Dave Harvey, When Sinners Say, “I Do,” (Wapwallopen, PA: Shepherd Press, 2007), 130.

 

 

 

 

(Traduzione a cura di Cristina Baccella)

 

 

Tematiche: Crescita spirituale, Pastorato, Vita Cristiana

Aaron Menikoff

Aaron Menikoff

 

E’ pastore della Mt. Vernon Baptist Church a Sandy Springs, Georgia.

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