Predicava un grande Dio con il cuore sofferente

 

Charles H Spurgeon

(1834-1892)

 

 

Tutti affrontano delle avversità e tutti devono trovare il modo di perseverare nei momenti difficili della vita. Tutti devono rialzarsi e proseguire una routine quotidiana come fare colazione, lavare i vestiti, andare al lavoro, pagare le bollette e educare i propri figli. Dobbiamo, in generale, continuare a vivere anche quando i nostri cuori saranno sofferenti.

 

Ma per i pastori è un po’ diverso—non del tutto diverso, ma è comunque diverso. Il cuore è lo specchio della nostra vocazione. Charles Spurgeon disse: “Il nostro è più di un lavoro mentale—è un lavoro di cuore, il lavoro della nostra anima interiore” (Lectures to My Students, 156). Quando il cuore di un pastore è in crisi, dovrà lavorare con uno strumento rotto. La domanda sorge allora: come continuare a vivere quando un matrimonio è in bilico o quando le finanze scarseggiano o quando la chiesa è vuota e gli amici ti abbandonano. Come continuare a predicare?

 

“Spurgeon conosceva l’intera gamma delle avversità che la maggior parte dei predicatori soffre—e molto di più”.

 

Ringrazio Dio per le storie di guarigione della potenza di Dio nella vita dei suoi santi e, in particolare, nella vita e nel ministero di Charles Spurgeon, che, per trentotto anni, presso la New Park Street Chapel e il Metropolitan Tabernacle di Londra, plasmò il modo di predicare attraverso anche le difficoltà. Per chi ha occhi per vedere, le lezioni non sono solo per i pastori, ma per tutti i credenti.

 

Un predicatore instancabile

Spurgeon fu chiamato all’età di diciassette anni ad essere il pastore di una chiesa congregazionalista a Waterbeach. Due anni dopo, all’età di diciannove anni, fu chiamato a guidare la New Park Street Chapel di Londra. Lì iniziò il suo ministero l’anno successivo (1854). Quando venne costruito un nuovo edificio, la chiesa cambiò il suo nome e divenne il Metropolitan Tabernacle . Spurgeon è stato il pastore di questa congregazione per 38 anni, fino alla sua morte nel 1892.

 

La predicazione è stata la parte più conosciuta ed incisiva della vita di Spurgeon. Predicò più di seicento volte prima dei vent’anni. Dopo l’apertura del nuovo edificio, seimila persone si riunivano nel giorno del Signore per ascoltarlo. Una volta predicò alla più grande folla al chiuso della sua vita, 23.654 persone e senza amplificazione acustica. Le sue predicazioni vennero stampate e vendute circa venticinquemila copie alla settimana e tradotte in ben venti lingue.

 

Quando arrivò alla New Park Street Chapel, c’erano 232 membri. Trentotto anni dopo, erano 5.311, con un’aggiunta totale di 14.460 (una media di 380 nuovi membri all’anno). Tutto questo avvenne anche se non aveva una formazione teologica formale. Spurgeon era un autodidatta e leggeva voracemente—circa sei libri a settimana e aveva una memoria fenomenale. Alla sua morte, la sua biblioteca consisteva di circa dodicimila volumi. Per garantire la predicazione in altre chiese e per il futuro, fondò anche il Pastors’ College (l’università per pastori) che ha formato quasi novecento uomini.

 

Oltre ai sei libri che leggeva ogni settimana, Spurgeon produsse più di 140 libri—come The Treasury of David (un libro sui salmi) quando aveva solo vent’anni di vita, e Morning and Evening e John Ploughman’s Talk.

 

Ma l’onnipresente Signore Gesù non risparmiò al suo amico e servo le “molte tribolazioni” che Paolo promise a tutti coloro che sarebbero entrati nel regno dei cieli (Atti 14:22). La sua vita fu dura e, per lo standard del suo amico George Müller, anche molto breve. Il 7 giugno 1891, per l’ultima volta davanti al suo popolo, morì il 31 gennaio successivo per una dolorosa combinazione di reumatismi, gotta e malattia di Bright. Aveva solo 57 anni.

 

Le sofferenze di Spurgeon

Spurgeon conosceva l’intera gamma delle avversità che la maggior parte dei predicatori soffre, e molto di più.

Spurgeon conosceva la frustrazione e la delusione quotidiana e domestica dei membri tiepidi. Provò quelle terribili calamità che capitano una volta nella vita. Conobbe le difficoltà del dolore familiare. Affrontò un’incredibile sofferenza fisica. Dovette sopportare una vita di umiliazioni e di calunnie pubbliche, a volte anche le più feroci. E infine, Spurgeon ebbe ricorrenti cadute in depressione.

 

“Tutti affrontano le avversità e devono trovare il modo di perseverare nei momenti difficili della vita”

 

La sua battaglia con la depressione è stata il risultato delle altre. Non è facile immaginare Spurgeon in pieno possesso delle sue capacità, eloquente, brillante, pieno di energia, che piange come un bambino senza motivo. Nel 1858, a ventiquattro anni, accadde depresso per la prima volta. Disse: “Il mio spirito era così giù che piangevo tutte le ore come un bambino, eppure non sapevo per cosa stavo piangendo” (“The Anguish and Agonies of Charles Spurgeon,” 24). Aggiunse:

 

“Non si può razionalizzare la depressione senza causa, l’arpa di Davide non può conquistarla con dolci discorsi, né la si può incantare con essa. Bisogna combattere sia con la confusione sia con questa disperazione, indefinibile, eppure avvolgente, senza speranza… Il bullone di ferro che così misteriosamente chiude la porta della speranza e che tiene i nostri spiriti in una cupa prigione, ha bisogno di una mano celeste per toglierlo”. (Lectures to My Students, 163)

 

Come è riuscito a perseverare e predicare in mezzo a tutte queste difficoltà?

 

Considerava la sua depressione come la sua “particolarità peggiore”. Lo “sconforto”, diceva, “non è una virtù, credo che sia un vizio”. Mi vergogno profondamente di me stesso per esserci caduto dentro, ma sono sicuro che non c’è rimedio come una fede santa in Dio”. (“The Anguish and Agonies of Charles Spurgeon,” 24)

 

Nonostante tutte le sofferenze e le persecuzioni, Spurgeon resistette fino alla fine, e poté predicare con forza fino al suo ultimo sermone al Metropolitan Tabernacle, il 7 giugno 1891. La domanda che mi sono posto leggendo la vita e l’opera di quest’uomo è: come è riuscito a perseverare e predicare in mezzo a tutte queste difficoltà?

Predicare in mezzo alle avversità

Ci sono state innumerevoli strategie di grazia nella vita di Charles Spurgeon. Quelle che ho scelto di menzionare sono poche, ma il campo di applicazione di queste strategie e la loro saggezza sono immensi.

 

  1. Sottomettersi a un Dio sovrano

Spurgeon vedeva la sua depressione come il disegno di Dio per il bene del suo ministero e la gloria di Cristo.

 

Ciò che emerge sempre più spesso negli scritti di Spurgeon è la sua incrollabile fede nella sovranità di Dio in tutte le sue afflizioni. Più di ogni altra cosa, sembra, che questo gli abbia impedito di cedere di fronte alle avversità della sua vita.

 

Scrisse:

“Per me sarebbe un’esperienza molto acuta e difficile pensare che ho un’afflizione che Dio non mi ha mai mandato, che il calice amaro non è mai stato versato dalla sua mano, che le mie prove non sono mai state misurate da lui, né mi sono mai state mandate dalla sua disposizione riguardo alla loro entità e quantità”. (“The Anguish and Agonies of Charles Spurgeon,” 25)

 

Per Spurgeon, questa visione di Dio non era un argomento di discussione; era un mezzo di sopravvivenza. Le nostre afflizioni sono il regime sanitario di un medico infinitamente saggio. Sebbene Spurgeon temesse la sofferenza e volesse evitarla, disse:

 

“Temo che tutta la grazia che ho avuto dei miei momenti facili e comodi e delle mie ore felici, potrebbe essere come un penny. Ma il bene che ho ricevuto dai miei dolori, e dalle sofferenze, e dai lutti, è del tutto incalcolabile… L’afflizione è il miglior pezzo di arredamento della mia casa. È il miglior libro della biblioteca di un ministro del vangelo”. (“The Anguish and Agonies of Charles Spurgeon,” 25)

 

Direi insieme a Spurgeon che nelle ore più buie, è la bontà sovrana di Dio che mi ha dato la forza di andare avanti: la stabile promessa che Egli governa le mie circostanze e le intende sempre per il bene, indipendentemente da ciò che chiunque altro intende.

 

  1. Respirare un’aria nuova

Spurgeon integrò la sua strategia teologica di sopravvivenza con i mezzi naturali di sopravvivenza di Dio: con l’uso del riposo e della natura.

 

In tutti i discorsi di Spurgeon a proposito dell’impegno e l’essere impegnati, egli ci consiglia di riposare e di prenderci un giorno di riposo e di concedersi ai benefici curativi che Dio ha messo nel mondo della natura.

 

“Il nostro Sabato è il nostro giorno di lavoro”, diceva, “e se non ci riposiamo un altro giorno, crolleremmo” (Lectures to My Students, 160). Eric Hayden ci ricorda che Spurgeon “mantenne, quando possibile, il mercoledì come giorno di riposo” (Highlights in the Life of C.H. Spurgeon, 161). Più di questo, diceva Spurgeon ai suoi studenti:

 

“E’ saggio prendersi un periodo di riposo occasionale. A lungo andare, faremo di più, a volte facendo meno. Su, su, su per sempre, senza ricreazione può andare bene per gli spiriti che sono stati liberati da questa “argilla pesante”, ma mentre siamo in questo tabernacolo, dobbiamo ogni tanto fermarci, e servire il Signore con la santa inattività e l’ozio consacrato. Non lasciamo che la nostra tenera coscienza metta in dubbio la legittimità di uscire per un po’ di tempo fuori dai legami”. (Lectures to My Students, 161)

 

Nella mia esperienza di ministero pastorale, posso testimoniare che il tempo libero è fondamentale per respirare un’aria spirituale diversa. Quando ci prendiamo del tempo libero dalla pressione dei compiti, Spurgeon raccomanda di respirare l’aria di campagna e di lasciare che la bellezza della natura faccia il suo lavoro. Confessava che “le abitudini sedentarie hanno la tendenza a creare sconforto… soprattutto nei mesi di confusione”. Poi consiglia: “Una boccata d’aria di mare, o una passeggiata all’aria aperta non recherà grazia all’anima, ma darebbe ossigeno al corpo, che è il prossimo migliore”. (Lectures to My Students, 160).

 

  1. La comunione con Cristo

Spurgeon nutriva costantemente la sua anima attraverso la comunione con Cristo mediante la preghiera e la meditazione biblica. Fu una grande misericordia per me, in un momento delicato del mio ministero, scoprire il libro di John Owen “Communion with God“. Mi nutriva sempre di più quando la mia anima mi sollecitava: “Può Dio imbandire una tavola nel deserto?”.

 

“Ciò che emerge sempre più spesso negli scritti di Spurgeon è la sua incrollabile fede nella sovranità di Dio in tutte le sue afflizioni”

 

Spurgeon avvertì i suoi studenti:

 

“Non trascurate mai i vostri pasti spirituali, o vi mancherà la resistenza e il vostro spirito sprofonderà. Vivete seguendo le dottrine sostanziali della grazia, sopravviverete e supererete chi si diletta con le paste e i sughi del “pensiero moderno”. (Lectures to My Students, 310)

 

Credo che uno dei motivi per cui Spurgeon era così ricco nel linguaggio e pieno di sostanza dottrinale e forte nello Spirito, nonostante il suo sconforto e la sua oppressione fisica e i suoi tormenti, è che era sempre immerso nel grande Libro. La maggior parte di noi non può eguagliare i sei libri di Spurgeon alla settimana, ma possiamo sempre camminare con un grande “ammiratore” di Dio. Nel corso degli anni, ho imparato che la chiave di ogni buona lettura della teologia è di sforzarsi nella lettura per una vera comunione con Cristo. Spurgeon disse:

 

“Soprattutto, alimentate la fiamma con la comunione intima con Cristo. Nessun uomo è mai stato freddo nel cuore da aver vissuto con Gesù in termini così lontani come facevano Giovanni e Maria… Non ho mai incontrato un predicatore timido che fosse molto in comunione con il Signore Gesù”. (Lectures to My Students, 315)

 

Per certi versi, Spurgeon era un bambino nella sua comunione con Dio. Non parlava in termini complessi di nulla in modo troppo strano o mistico. Se vogliamo predicare in mezzo alle difficoltà, dobbiamo vivere in comunione con Dio in termini così intimi: parlandogli dei nostri bisogni e del nostro dolore, e nutrendoci delle promesse della sua grazia e della rivelazione della sua gloria.

 

Un vero e proprio trionfo

Verso la fine della sua vita, nell’ultimo discorso di Spurgeon alla conferenza dei suoi pastori, disse: “Chi è colui che può farci del male se seguiamo Gesù? Come può essere sconfitta la Sua causa? Al Suo volere, i convertiti accorreranno alla Sua verità numerosi come le sabbie del mare… Perciò abbiate coraggio e andate per la vostra strada cantando [e predicando!]:

 

I venti dell’inferno soffiano,

Il mondo mostra il suo odio,

Eppure non è stata depennata.

Alleluia per la croce!

Non subirà mai sconfitte!

Il Signore degli eserciti è con noi,

Il Dio di Giacobbe è il nostro rifugio.

(An All-Round Ministry, 395–96)

 

 

 

Traduzione a cura di Andrea Lavagna

 

 

Tematiche: Biografie

John Piper

John Piper

È il fondatore di Desiring God, per il quale ricopre anche il ministero di insegnante, inoltre, è il rettore del Bethlehem College & Seminary. Ha servito per trentatré anni come pastore presso la chiesa battista Bethlehem Baptist Church di Minneapolis, in Minnesota e ha scritto più di cinquanta libri, tra cui e Non sprecare la tua vita (Ed Coram Deo), Rischiare è giusto (Ed Coram Deo), Coronavirus e Cristo (Ed Coram Deo), Stupefatto da Dio (Ed Coram Deo) e Desiderare Dio.

© DesiringGod.org, © Coram Deo

Il presente articolo può essere utilizzato solo facendone previa richiesta a Coram Deo. Non può essere venduto e non si può alterare il suo contenuto.