Come può un Dio amorevole mandare le persone all’inferno?

L’ira di Dio manifestata

 

L’idea dell’ira di Dio sembra esserci aliena, un relitto dannoso di un’epoca passata. Ma così come non possiamo assolvere le persone per la responsabilità morale senza cancellare anche la loro capacità di amare, così l’amore di Dio e il giudizio di Dio non possono essere messi da parte. Pensa alla rabbia che senti quando vedi un bambino ucciso per strada mentre sta andando a scuola o donne stuprate e gente picchiata a causa del colore della loro pelle. Pensa alla tua rabbia riguardo al commercio degli schiavi, all’Olocausto, al traffico sessuale globale. Quando analizzi quella rabbia, essa ha le sue radici nell’amore. Nessuno che considera subumane le persone appartenenti ad altre etnie si interessa dello sfruttamento razziale. Nessuno che crede che le donne e i bambini siano delle proprietà si interessa dell’abuso sessuale. Più amiamo, più facilmente la nostra rabbia si accende. Ci precipitiamo a difendere i nostri bambini dagli attacchi, perché li amiamo: chiunque gli fa del male suscita la nostra ira.

Immagina che questo tipo di amore e di rabbia motivata sia così intrinseco nel cuore di Dio che il tuo stesso impegno per la giustizia in confronto sia come una goccia nell’oceano, come la giustizia di un bambino che si veste da poliziotto paragonata a quella di un giudice della corte suprema. Dio è, così come lo definisce Agar, il Dio che vede (Genesi 6:13). Tutta l’ira di Dio per l’Olocausto, per il commercio sessuale, per gli abusi e gli omicidi, per la crudeltà e la negligenza è stata tutta riversata su Gesù alla croce. Ecco ciò che lui temeva: non i chiodi nelle mani.

Quest’unica cosa però non spiega la logica della croce. Anche se c’è un mondo di peccato per cui pagare, perché mai riversare la rabbia contro un uomo completamente innocente avrebbe fatto la differenza? Non è questa la più grande forma di ingiustizia? Prima di poter afferrare la logica della croce, dobbiamo capire chi è Gesù, in relazione a Dio e chi è Lui quando si relaziona con noi.

Per prima cosa, secondo la Bibbia, Gesù non è una vittima passiva dell’ira di Dio. Egli stesso è Dio. Così, sulla croce, Gesù è sia esecutore che condannato. Le persone alcune volte associano Dio Padre con l’Antico Testamento, vedendolo come un Dio arrabbiato e vendicativo e Dio Figlio, che predica amore, misericordia e perdono. Mentre Dio agisce certamente in giudizio nell’ Antico Testamento, egli è anche “misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà” (Esodo 34:6). È come un marito amorevole, che estende grazia su grazia alla sua infedele moglie (Isaia 62:4-5); come una madre che cura suo figlio, stringendolo a sé (Isaia 49:15); come un padre, che avvicina suo figlio al viso (Osea 11:3-4). Al contrario, mentre Gesù mostra l’amore di Dio e la sua misericordia ancora e ancora, egli martella anche sul giudizio di Dio più di un qualsiasi altro profeta dell’Antico Testamento. Gesù è chiaro: Lui è l’unico che giudicherà tutta l’umanità.

Nell’ultimo libro della Bibbia, la dolce e vulnerabile metafora utilizzata per rappresentare Gesù come sacrificio, diventa un’immagine di giudizio terrificante. L’Apocalisse descrive un tempo in cui le persone diranno alle montagne: “Cadeteci addosso, nascondeteci dalla presenza di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della loro ira. Chi può resistere?” (Apocalisse 6:16-17). L’ira di Dio è l’ira di Gesù, l’Agnello. Sulla croce, l’unico uomo perfetto, giusto, amorevole e completamente innocente che abbia mai vissuto affrontò la forza completa del giudizio di Dio, bevve il calice e buttò via la coppa. Usando un linguaggio biblico: andò all’inferno.

Seconda cosa, così come Gesù non può separarsi da quel Dio la cui ira egli ha affrontato sulla croce, così lui non può separarsi da noi, se riponiamo la nostra fiducia in lui. La chiesa è una metafora per il corpo di Gesù e questo è rivolto ai cristiani che si relazionano gli uni agli altri. Ma un’implicazione ancora più importante di questa verità è che se ci fidiamo di Gesù, noi siamo inseparabili da lui, così come i nostri corpi non possono separarsi dalle nostre teste.

Mentre scrivo queste parole, le mie dita stanno digitando, ma non stanno agendo in maniera indipendente. Se tu dovessi scoprire che sto scrivendo un qualcosa di offensivo, non daresti la colpa solo alle mie dita. L’offesa la procuro io. Allo stesso modo, Gesù non è uno spettatore casuale, trascinato a pagare per i nostri peccati. Se abbiamo riposto la nostra fiducia in lui, lui è il nostro Capo: la malvagità dei nostri cuori è stata gettata su di lui e pagata dalla sua morte e ciascuno dei suoi meravigliosi atti d’amore è stato accreditato sul nostro conto. Tutti noi abbiamo rigettato Dio e meritiamo di essere rigettati. La scelta che abbiamo è questa: affrontare l’inferno da soli o nascondere noi stessi in Cristo.

 

Il vero significato di inferno e paradiso

 

Tendiamo a pensare che il paradiso e l’inferno siano primariamente dei luoghi in cui essere confinati. Alcuni immaginano che la nostra destinazione dipenda dalle nostre azioni: se in media siamo “brave persone”, possiamo aspettarci di andare in cielo, mentre le persone cattive come Hitler e Stalin languono all’inferno.

Altri pensano che il Cristianesimo distribuisca le persone in paradiso o all’inferno sull’apparente base arbitraria data dall’assenso a certi valori. Coloro che per loro fortuna hanno ricevuto una testimonianza su Gesù e hanno creduto alla sua morte espiatoria, vanno in paradiso. Coloro che non hanno ascoltato oppure coloro che hanno altre preferenze religiose o che sono semplicemente troppo intelligenti da credere alla storia incredibile di un uomo risorto, sono inviati capricciosamente in un luogo chiamato inferno. Ma la Bibbia racconta una storia diversa.

Il paradiso, in termini biblici, non è primariamente un luogo ma è un’abbreviazione che rappresenta la completa benedizione data dalla relazione con Dio. È quel figlio prodigo che torna a casa, è una sposa che viene abbracciata da suo marito in lacrime di gioia. Sono i nuovi cieli e la nuova terra, dove il popolo di Dio, con un corpo risorto promosso alla gloria, godrà per l’eternità con lui un livello di intimità tale che il migliore dei matrimoni ci sembrerà una goccia nell’oceano. Il paradiso è casa: un’esperienza di incarnazione e di profonda relazione tra Dio e il suo popolo su una Terra ricreata.

L’inferno è l’opposto. È una porta sbattuta in faccia al figlio sciagurato, il certificato di divorzio spedito al momento del rimorso, il criminale che riceve la giusta ricompensa. Se Gesù è il Pane di Vita, la perdita di Gesù significa morire di fame. Se Gesù è la Luce del mondo, la perdita di Gesù significa perdersi e girovagare in solitudine e perdizione.

Se Gesù è la resurrezione e la vita, la perdita di Gesù è morte eterna. E se Gesù è l’Agnello di Dio, la perdita di Gesù significa pagare quel prezzo di riscatto da soli.

Nel classico romanzo russo “Eugenio Onegin”, un aristocratico di nome Onegin incontra una giovane donna innocente in una campagna. La ragazza, Tatyana, scrive all’uomo una lettera, offrendogli il suo amore. Onegin non le risponde però. Quando si incontrano di nuovo, lui la rifiuta: la lettera era toccante a suo avviso, ma sicuramente si sarebbe stancato di averla come moglie. Anni dopo Onegin partecipa ad una festa a San Pietroburgo e vede una donna meravigliosamente bella. È Tatyana che però ora è sposata. Onegin si innamora di lei e prova in tutti i modi a riconquistarla, ma Tatyana lo rifiuta. Una volta la porta era aperta: lei gli aveva offerto il suo amore, ora la porta è chiusa.

Per molti di noi è semplice rifiutare Gesù ora. Come nella lettera di Tatyana a Onegin, l’offerta è toccante, ma noi crediamo che saremo più felici senza un tale impegno. Abbiamo paura che Cristo possa sconvolgere il nostro stile di vita, così proseguiamo con la nostra vita e lo lasciamo confinato nel campo spirituale. La Bibbia ci avverte che un giorno vedremo Gesù in tutta la sua gloria, i nostri occhi si apriranno con dolore di fronte alla sua maestà. Sapremo in quel momento che tutti i nostri più grandi tesori erano nulla paragonati a lui e ci pentiremo amaramente di quella decisione. Ma la reazione di Gesù non sarà più ingiusta della reazione di Tatyana nei confronti di Onegin. Se accettiamo Gesù oggi, vivremo per sempre nella pienezza della vita che non riusciamo neanche a immaginare. Se lo rifiutiamo, un giorno Lui ci rifiuterà e saremo devastati per l’eternità. La scelta è nostra.

 

Libertà, Vita e Amore

 

La possibilità di unione con Cristo districa un nodo finale della condizione umana, una sfida che affrontano cristiani e atei allo stesso modo. Siamo davvero liberi di scegliere? Sam Harris crede che il libero arbitrio sia una delusione: un credo impossibile da tracciare nella realtà. Il Cristianesimo offre un’alternativa. Sì, le nostre azioni sono influenzate dalle circostanze (neurologiche ed empiriche), ma siamo comunque agenti morali. Molteplici testi biblici suggeriscono che i nostri desideri siano in uno stato di schiavitù, in modi simili a quelli descritti da Harris: siamo liberi di fare ciò che vogliamo, ma non possiamo determinare il volere in sé per sé. Paolo ci definisce “morti nei nostri peccati” fino a quando non siamo fatti “viventi in Cristo”. I cadaveri non possono scegliere. Mentre nell’ottica di Harris non c’è un vero libero arbitrio, nell’ottica cristiana c’è. Dio stesso è pienamente libero, così com’è completamente vivo. E così come le nostre vite sono subordinate alla sua vita e i nostri sentimenti sono subordinati al suo amore, così la nostra volontà è subordinata al suo volere.

Abbiamo un esempio e un indizio di questa relazione nella gravidanza. Il bambino nel mio ventre in questo momento è completamente vivo, anche se la sua vita è assolutamente subordinata alla mia. Si muove liberamente nella mia pancia, ma non controlla il suo spostamento: dovunque io vado, lui viene con me. Allo stesso modo, io sono completamente vivo e libero, non indipendentemente da Gesù, ma avvolto in lui. E se scappare da me stessa significherebbe la morte per il mio bambino – non vita – così scappare da Cristo non significherebbe libertà e vita per me, ma un breve contorcersi prima dell’immobilità. Racchiuso nel mio corpo, dipendente dal mio sangue, protetto dalle mie difese immunitarie e ospitato nel mio amore, mio figlio è tangibilmente unito a me. Siccome confido in Gesù, sono quindi dipendente da lui. Dove va Gesù, lì vado anche io. Se Lui vive, anche io vivo. Lui ha sofferto la mia morte e ha preso la mia punizione. Lui è la mia resurrezione e la mia vita.

 

 

Traduzione a cura di Anna Lombardi

 

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Tematiche: Inferno, L'amore di Dio, Paradiso, Sovranità di Dio

Rebecca McLughlin

Rebecca McLughlin

Ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura rinascimentale e un diploma di laurea in teologia all’ Oak Hill College a Londra. È cofondatrice di Vocable Communications e vice presidente di Veritas Forum, dove ha trascorso quasi un decennio a lavorare con accademici cristiani nelle scuole e università pubbliche.

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