Cosa rende un inno, un buon inno?

 

 

Erik Routley, un eminente innologo britannico degli anni Cinquanta, diceva che un buon inno dovrebbe essere “ben scritto, ben scelto e ben cantato”. Per più di cinquant’anni queste parole sono state filtri istruttivi per me. Mi hanno guidato nella scelta dei canti per culti d’adorazione, matrimoni, funerali, piccoli gruppi e ritiri. Ma cosa significano esattamente questi tre punti? Esploriamoli meglio.

 

Ben scritto

Con “ben scritto” intendo che la teologia del canto dovrebbe essere sana e la sua musica ben costruita. Routley non approvava un inno se non passava due test: il test grammaticale e il test della congregazione. Per prima cosa doveva essere grammaticalmente corretto. Scriveva: “Come un pezzo di artigianato in letteratura, dev’essere senza difetto. Non deve andare contro le regole grammaticali… se lo immaginiamo come una sedia o un tavolo, dobbiamo pensarlo in modo che non si rompa appena gli viene poggiato un peso sopra.” Secondo, dev’essere adatto al canto di tutta l’assemblea. Routley scriveva: “E’ necessario che quando è scritto, l’inno adempia precisamente e pienamente ciò per cui è stato concepito. Un inno è designato ad essere un atto di lode congregazionale.”

Alcuni inni sono capolavori di composizione, ma difficili da cantare per la chiesa. Altri servono come espressione di devozione personale, ma non ne incorporano tematicamente altri. In entrambi i casi, questi inni falliscono ai test di Routley.

Quando parliamo di canti “ben scritti”, non ci riferiamo solo al testo, ma anche alla melodia. Melodie forti tendono a guadagnare potere duraturo, resistono attraverso le generazioni. Per esempio, “O Sacred Head, NowWounded” composto da Hans Leo Hassler con le parole di Bernard de Clairvaux, è uno dei capolavori musicali più grandi al mondo, soprattutto grazie alla sua melodia penetrante. Il motivo di un inno non può essere sottovalutato. 

Gli inni ben scritti godono di un matrimonio sano tra musica e parole. Un esempio potente di questo è “When I Survey the Wondrous Cross”, di Isaac Watts. Le parole del canto sono amplificate dal suono. La sua melodia, come un ritornello, si muove su e giù un passo alla volta, seppur si componga di sole cinque note. La sua profondità e il suo ritmo si combinano con il testo per comunicare le meditazioni private dell’osservatore della croce. 

Lo scorrere del tempo tende a rivelare i migliori inni di ogni epoca. Il famoso scrittore di inni Charles Wesley compose più di 6500 inni, di cui solo 253 rimangono in circolazione. Qualcuno dei nostri inni contemporanei potrà sopravvivere alle prossime generazioni. In ogni caso, le chiese farebbero bene a esercitare discernimento nella scelta dei migliori inni disponibili, anche fra quelli più antichi! A Stuart Townend, autore di “How Deep the Father’s Love for Us” e di “In Christ Alone” fu chiesto se i suoi inni avrebbero superato il test del tempo. Lui rispose umilmente: “Solo il tempo ce lo dirà!”.

 

Ben scelto

Selezionare gli inni può essere il compito più arduo per qualsiasi direttore dei canti. Il processo può richiedere molto tempo e richiede anche una vasta conoscenza dell’innologia o almeno l’accesso ad indici ordinati per argomento. Dal momento che il canto è una parte cruciale di ciò che fanno i cristiani quando si radunano, chi guida questo momento dovrebbe essere molto attento nella selezione (Cfr. Ef. 5:19). Purtroppo, una scelta approssimativa può risultare in canti distratti o addirittura indifferenti. La mancanza di comunione creata da musica inappropriata può privare la congregazione del suo obiettivo. Ecco perché gli inni dovrebbero accordarsi tematicamente e tonalmente con gli altri elementi del culto. Esattamente come il testo implementa la melodia, così la selezione dei canti deve implementare il resto del servizio. Un particolare canto può anticipare cosa avverrà durante il culto, o può far riflettere su cos’è appena accaduto. A volte una breve presentazione può chiarire perché è stato scelto un particolare inno e come l’adunanza può meditare sul suo significato. 

Culti speciali come matrimoni o funerali, il periodo dell’anno, o anche l’età media della chiesa sono tutti fattori che possono influenzare quali inni saranno cantati e in che punto del culto sono posizionati. Per esempio, quando abbiamo creato un innario per una scuola elementare cristiana, avevamo il nostro pubblico di riferimento in mente: i bambini! Abbiamo ritenuto che inni come “Come, Children, Join to Sing”, “O Little Town of Bethlehem”, “Once in Royal David’s City”, e “We Three Kings of Orient Are” fossero perfetti per alunni delle elementari. Quando si selezionano i canti, è sempre meglio avere la chiesa in mente.

 

Ben cantato

Ci sono molte ragioni per cui una chiesa può non cantare bene un canto. Forse semplicemente non lo conoscono, o forse chi guida la lode sta commettendo errori di distrazione. Forse la musica e l’assemblea non vanno allo stesso tempo. Se si vuole che una chiesa canti bene, il direttore della musica deve avere un regolare feedback e una valutazione costante. Si possono porre queste domande:

  • La chiesa come ha cantato ogni canto?
  • Se non hanno cantato bene, perché?
  • Il canto aveva bisogno di un’introduzione più approfondita?
  • Pensate che ripeterlo potrà aiutare?
  • L’inno era fuori luogo?

Anche se possono far male, queste domande aiutano i leader ad andare alla radice di un inno cantato male. 

Questo articolo ha provato a spiegare come i direttori del canto valutano gli inni. Visto che il canto della chiesa è uno dei nostri privilegi settimanali come cristiani, dobbiamo trattarlo con grande cura. Se Dio vuole, il nostro canto sarà una parte della lode accettevole che offriamo a Lui (Eb. 12:29).

 

 

Traduzione a cura di Alessia Pescarmona

 

Tematiche: culto, Lode, Musica

David e Barbara Leeman

David e Barbara Leeman

Sono musicisti di chiesa e di scuole cristiane ora in pensione. Abitano a Greenville, SC. Hanno pubblicato due libri di canti con la Moody Publishers: Hosanna in Excelsise, appena uscito, OurHymns, Our Heritage.

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