L’abitudine dimenticata: la comunione come mezzo della grazia di Dio

 

 

Abbiamo eliminato il nome “Fellowship Hall” (Sala della Comunione). La nostra chiesa ha acquistato l’edificio tre anni fa. “Fellowship Hall” era il nome che avevamo ereditato per l’altra grande sala. Di recente, in occasione di alcuni lavori di ristrutturazione, abbiamo avuto bisogno di formalizzare un nome per ogni stanza. L’insegna ora recita “Cappella”.

La parola “comunione” è caduta in disgrazia in molte chiese, come la parola “incoraggiamento”, svuotata del suo potere da un uso eccessivo e casuale. Banalizzata, si potrebbe dire. Abbiamo eliminato la parola “comunione” dal nome non perché la realtà biblica della comunione stia perdendo importanza. Al contrario. Vogliamo che la nostra chiesa recuperi la realtà elettrizzante della comunione nel Nuovo Testamento e che il termine non muoia della lenta morte dell’addomesticamento cristiano.

 

La comunione più grande di noi

Forse la parola può sembrare vuota se abbiamo perso il concetto di comunione come mezzo di grazia, con il fine di godere di Gesù.

Il fatto di avere mezzi di grazia nella vita cristiana implica un fine, un obiettivo, un traguardo. In altre parole, “mezzi” significa mezzi per raggiungere un fine. I mezzi non sono il fine. E se lasciamo il grande fine indefinito, fini minori vengono a sostituirlo. Fini minori come la crescita. Nemmeno la pietà o la santità sono il fine, per quanto siano vitali e preziose.

Piuttosto, la conoscenza e il godimento di Dio stesso, nell’uomo-Dio, Gesù Cristo, è l’obiettivo, il fine, della comunione cristiana. La gioia finale in ogni abitudine di grazia veramente cristiana è, come scrive Paolo, “l’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” (Fil. 3:8). “Questa è la vita eterna”, ha pregato Gesù – e questo è l’obiettivo dei mezzi della sua grazia – “che conoscano te, l’unico vero Dio, e Gesù Cristo che tu hai mandato” (Giov. 17:3). E come scrive J.I. Packer, “quanto più fortemente si desidera un fine, tanto più attentamente e diligentemente si useranno i mezzi per raggiungerlo” (Honouring the People of God, 274).

Tra questi mezzi, la parola di Dio e la preghiera sono spesso enfatizzate per il loro posto cruciale nella vita cristiana. Giustamente. Ma nell’epoca dell’io moderno e individualista, un terzo mezzo vitale – come un figlio di mezzo dimenticato – ha bisogno di maggiore attenzione: la comunione.

 

 

Qualcosa di più dell’amicizia

La comunione cristiana – la nostra santa comunanza di condividere un unico Salvatore, attraverso un unico Spirito, come un unico corpo – va ben oltre i giochi e la cena. Nel Nuovo Testamento, la comunione non è tanto la festa cristiana del Super Bowl, quanto piuttosto i giocatori stessi accalcati sul campo, intenti a definire la prossima azione.

Forse pochi di noi si sono resi conto di quanto fosse vitale la comunione come mezzo di grazia prima che il COVID colpisse. Molti languirono inaspettatamente e alcune delle nostre chiese ne risentono ancora. Tendiamo a sottovalutare quanto le nostre anime siano nutrite, e si mantengano in salute, attraverso i ritmi regolari del culto comunitario e della comunione faccia a faccia. Soprattutto in un’epoca di enormi progressi tecnologici che ci tengono in contatto con chi è lontano, mentre minano silenziosamente i legami con chi è più vicino. I nostri dispositivi hanno aumentato il numero di “amici”, mentre hanno privato le nostre vite di amicizie reali, in carne e ossa.

 

La comunione del Nuovo Testamento è molto più profonda delle comuni amicizie umane. La comunione, al suo meglio, è costituita da relazioni profondamente impegnate, cioè da un’alleanza di fedeltà nella buona e nella cattiva sorte, attraverso il dolore e i disagi, la goffaggine e il fastidio. Questa è stata a lungo una sfida per gli americani che, quando si sono riuniti, lo hanno fatto spesso in difesa dei diritti individuali, delle libertà e della ricerca personale della felicità.

 

Dio ci ha dato l’un l’altro

I testi gemelli di Ebrei sulla comunione come mezzo di grazia parlano delle sfide della nostra generazione. Come vediamo in Ebrei 3 e 10, la vita, la salute e la perseveranza nella fede cristiana sono un progetto comunitario. I nostri cuori si induriscono e la nostra fede fallisce quando ci allontaniamo dalla comunione.

Ma quando rimaniamo ostinatamente connessi e approfondiamo questi legami, non solo scopriamo che i nostri cuori sono duttili e la nostra fede è duratura, ma assaporiamo anche la gioia di essere i mezzi di grazia di Cristo gli uni per gli altri. È meraviglioso e profondamente soddisfacente essere strumenti umani dell’opera di mantenimento dello Spirito nella Chiesa. Entrambi i passi di Ebrei ci mostrano il beneficio di ricevere la grazia e di dare la grazia nella comunione di alleanza della chiesa locale.

Il primo dei due brani potrebbe essere visto in termini più negativi, ma entrambi i testi lavorano insieme, con il secondo che ha una spinta più espressamente positiva.

 

Guardatevi le spalle l’un l’altro

In Ebrei 3, lo scrittore cita il Salmo 95 per spronare i suoi lettori alla perseveranza cristiana, per poi passare all’applicazione immediata alla chiesa nel suo insieme, non solo ai singoli:

State attenti, fratelli, che talora non vi sia in alcuno di voi un malvagio cuore incredulo, che si allontani dal Dio vivente, ma esortatevi a vicenda ogni giorno, finché si dice: Oggi perché nessuno di voi sia indurito per l’inganno del peccato (Eb. 3:12-13).

Guardate, vigilate, prendetevi cura l’uno dell’altro: vegliate sull’anima del vostro fratello, non solo sulla vostra. Il corpo della Chiesa nel suo insieme deve vigilare su alcuni (“alcuni”) i cui cuori potrebbero raffreddarsi. E la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Un “cuore non credente” non è solo una sfortuna, ma un male. Porta ad allontanarsi dal Dio vivente, cioè dalla vita spirituale alla morte spirituale. La misura preventiva, o il rimedio, dice Ebrei, è almeno duplice.

La prima è l’invito quotidiano alla vigilanza. Perché ogni giorno? Innanzitutto, il Salmo 95 dice “oggi”. Non ci viene promesso il domani. Se riconoscete la durezza di cuore in voi stessi o in un fratello, affrontatela subito, oggi. La cura dell’anima propria e degli altri deve avvenire a livello quotidiano e settimanale (piuttosto che mensile o annuale). I cuori si induriscono a piccoli passi, un giorno alla volta, non tutti insieme. La buona notizia è che è prevenibile e che non si verifica senza un processo. La cattiva notizia è che gli incrementi possono essere difficili da distinguere e si accumulano nel tempo. Ma un’attenzione regolare ci evita un modello di indurimento. La comunione è un mezzo della grazia di Dio che interrompe il raffreddamento dei nostri cuori.

La seconda sottolineatura riguarda il potere delle parole: “esortatevi a vicenda”. Questa parola per esortare (in greco parakaleo) appare come “confortare” o “incoraggiare” in altri contesti (come in Ebrei 10:25). Al centro c’è l’idea di aiutarsi a vicenda con le parole – con parole di aiuto che assumono varie forme in contesti diversi, sia che si tratti di rimproverare un cuore duro, di confortare una coscienza tenera o di incoraggiare una fede umile. Si tratta di una chiamata ad affiancare un fratello o una sorella nella fede e ad essere uno strumento umano dell’opera di mantenimento dello Spirito attraverso le nostre parole.

 

In altre parole, potremmo dire al santo in difficoltà: “Ascolta la voce di Dio nella voce del tuo fratello! E a tutto il corpo, che sta attento agli uni e agli altri: “Sii la voce di Dio nell’orecchio di tuo fratello, per evitare che il suo cuore si indurisca e non creda, per rimanere morbido e credente”.

 

Provocarsi a vicenda

L’altro gemello, poi, Ebrei 10:24-25, espande la visione, ora posta in termini più positivi:

E consideriamo gli uni gli altri, per incitarci ad amore e a buone opere, non abbandonando il radunarsi assieme di noi come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortandoci a vicenda, tanto più che vedete approssimarsi il giorno.

Ora, come Ebrei 3 ha la sua carica positiva per riprendere le parole di aiuto, così Ebrei 10 include l’avvertimento contro il “trascurare di riunirsi insieme, come è abitudine di alcuni”. Ecco di nuovo gli alcuni di Ebrei 3 (che si stavano allontanando), di cui tutto il corpo insieme si occupa e si preoccupa, attraverso il ministero delle parole (“incoraggiandosi a vicenda”).

In Ebrei 10 colpisce l’invito a “considerare come stimolarvi a vicenda” – o letteralmente, “considerare gli uni gli altri per provocare l’amore e le buone opere”. Nell’originale non c’è il “come”. Piuttosto, l’oggetto o il fulcro della contemplazione dei santi è “l’un l’altro”. Consideratevi a vicenda… È un’accusa personale e presuppone che i santi si conoscano in modo specifico e approfondito, tanto da contemplare quali parole particolari potrebbero essere messe al servizio, non solo per ispirare gli uomini o i cristiani in generale, ma per suscitare l’amore e le buone opere in particolari santi in lotta.

Qui le parole d’aiuto sono pensate da un santo per suscitare, o provocare, l’affetto e l’azione cristiana in un altro santo. Si tratta di una provocazione buona, non cattiva: non all’ira ma all’amore; non al male ma al bene; non all’amarezza ma alla gioia. Essere voce di Dio per il fratello non significa ripetere a pappagallo le Scritture, ma conoscere il fratello, da un lato, ed essere informati dalle Scritture, dall’altro, per poi dire come voce di Dio, in modo fallibile e con parole proprie, ciò che deve essere detto, come mezzo di grazia, al fratello, per incitarlo all’amore e alle buone azioni.

E non è irrilevante che Ebrei 10:24 menzioni l’assemblea, il radunarsi (“riunirsi insieme”). Il culto corporativo è un mezzo di grazia singolarmente importante nella vita cristiana, che combina i tre elementi essenziali che abbiamo notato: parola, preghiera e comunione. Tutti e tre si riuniscono nell’incontro. A livello settimanale, questo è il mezzo di grazia più importante nella vita cristiana.

 

Oggi e il “giorno”

Nella vita cristiana, ogni giorno è importante. E ogni domenica è importante, con i suoi ritmi di comunione. Mantenere noi stessi e gli altri nella fede non richiede sforzi erculei, ma una manutenzione regolare. La vigilanza quotidiana, la cura dell’anima degli altri, porta a perdere meno degli altri e ad avere “più” grazia quando si avvicina il giorno del ritorno di Cristo.

La comunione come mezzo insostituibile di grazia nella vita cristiana ci offre due gioie inestimabili: ricevere la grazia di Dio attraverso le parole di aiuto degli altri e dare la sua grazia agli altri attraverso le nostre. Gesù non ci chiama a “tenere duro” da soli, come se non avessimo bisogno dei compagni che ci dà. Ma ci aiutiamo a vicenda a tenere duro e a prosperare.

Che la comunione sia o meno il nome di una sala della nostra chiesa, faremo bene a reclamare questa realtà come mezzo vitale della grazia continua di Dio, e forse a maggior ragione dopo le prove degli ultimi anni.

 

 

 

Traduzione a cura di Susanna Giovannini

 

 

Tematiche: Comunione, Verità, Vita Cristiana

David Mathis

David Mathis

 

Redattore esecutivo di desiringGod.org, pastore della Cities Church di Minneapolis/Saint Paul, e professore associato al Bethlehem College & Seminary. È marito, padre di quattro figli, e autore di Habits of Grace: Enjoying Jesus through the Spiritual Disciplines e di  Workers for Your Joy: The Call of Christ on Christian Leaders (2022).

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