Predica come Keith Green cantava

 

 

So che tra poco rivelerò la mia età, ma sinceramente non penso che la chiesa, negli ultimi trent’anni, abbia prodotto un musicista altrettanto talentuoso e appassionato come il Keith Green dell’ultimo periodo.

 

Probabilmente non è il mio artista cristiano preferito, ma certamente è quello che ha avuto maggior influenza su di me, in particolar modo durante la mia adolescenza, anche se avevo solo sei anni quando morì nel 1982.

 

Green proiettò una lunga ombra nell’industria musicale cristiana, usandola e al tempo stesso disdegnandola. Non c’è stato nessun altro artista come lui. Rich Mullins gli si avvicinò molto, sia in termini di influenza che di unicità, ma ci furono alcuni aspetti di Green che lo resero una figura singolare e penso che alcuni predicatori del vangelo potrebbero imparare alcune cose da lui.

 

Eccone tre:

1. Serietà

Green credeva veramente in quello che cantava. Non si esibiva solamente, almeno non secondo il significato che abbiamo attribuito all’esibirsi. Non vedeva la musica come un mezzo per vivere, anche se, all’interno dell’ambiente cristiano, fu il primo ad avviare il sistema “paga per quello che puoi permetterti”. Rifiutò al contempo di ricaricare troppo sui prezzi dei suoi primi dischi e cassette.

Oltre a questo, quello che ti rimane della musica di Green, dal coro inneggiante di “Oh Signore, sei meraviglioso” all’ammonimento profetico di “Addormentati nella luce”, è un uomo completamente preso dai suoi brani e onestamente commosso dalle implicazioni che la signoria di Gesù Cristo rappresenta per il mondo e per la chiesa.  Cantava senza finzione, senza pavoneggiarsi e senza atteggiarsi.

 

Immaginate se ci accostassimo ai nostri pulpiti con la stessa serietà. Come sarebbe se la domenica non fosse solo un susseguirsi di rituali? Come sarebbero i nostri sermoni se veramente credessimo in quello che predichiamo?

 

2. Disinvoltura

Green aveva una personalità smisurata. Secondo alcuni, era persino difficile da avvicinare da molti dei suoi contemporanei che lo trovavano suscettibile o in alcuni casi, troppo rigido. Era forse la stella meno appariscente nel panorama della musica cristiana contemporanea, se non altro perché non si curava affatto della sua “immagine”. Questo riguardava il suo aspetto ovviamente, ma aveva più a che fare con la sua devozione per una “musica di Gesù” semplice, senza fronzoli e colta. Green non si vergognava minimamente di Cristo e del vangelo.

 

Alcune delle sue canzoni potrebbero sembrarci troppo semplici rispetto agli standard attuali, quantomeno parlando dei testi, ma Green non sembrava che si interessasse molto di nascondere quello che voleva trasmettere, non usava metafore se l’essere letterale funzionava altrettanto bene. Non pensava nemmeno ad attirare quegli ascoltatori a cui piaceva una musica meno biblica.

 

Se scavi un po’ più a fondo nella musica di Green, potrai accorgerti che avrebbe dovuto lavorare maggiormente sulla sua teologia, ma penso che sarebbe utile avere più pastori che predicano il vangelo come Green lo cantava. Uomini senza vergogna della bibbia, senza vergogna di un vangelo chiaro ed esplicito e più sicuri di come questo potrebbe influire sulla carnalità delle persone.

 

3. Passione

Green era una forza della natura. Il suo modo di cantare e di suonare il piano, le sue piccole predicazioni tra (e nel mezzo) delle canzoni, era tutto espresso al cento per cento. Era guidato dalla forza della fede, ed era convinto che quello che faceva potesse realmente fare la differenza per qualcuno tra andare in cielo o all’inferno, tra una chiesa trovata fedele o infedele davanti al Dio Santo, tra il glorificare Cristo o il mondo.

 

Diciamo che ha dato tutto quello che poteva. Non era uno che parlava tanto e faceva poco. Nei suoi brani esprimeva che l’eternità delle persone era appesa a un filo. In confronto all’evangelismo contemporaneo e meno impegnato, così popolare oggi, Keith Green rappresenta la seconda venuta di Giovanni Battista. La sua serietà era una ventata di aria fresca e anche se molti uomini seri rischiano di essere noiosi, Green trasmetteva la sua serietà e dedizione con passione.

 

Signore, dacci più predicatori di questo tipo, predicatori che vogliano con tutte le loro forze, farci contemplare la bellezza di Gesù come se questa fosse l’unica cosa che conta.

 

Traduzione a cura di Marcello Antonino

Tematiche: Adorazione, Musica, Predicazione

Jared C. Wilson

Jared C. Wilson

 

Direttore del Content Strategy per il Midwestern Seminary, managing editor di For The Church, e autore di più di dieci libri tra cui Gospel Wakefulness, The Pastor’s Justification, and The Prodigal Church.

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