Uso e abuso delle Scritture

 

 

Il predicatore credente e l’uso della Parola

 

 

La camminata per tornare alla baita fu lunga e imbarazzante.

Per più di un’ora ero rimasto seduto nel capanno di caccia a leggere, felice, godendomi la mattinata tranquilla. Poi sentii i proiettili tintinnare nella tasca. Mi voltai per vedere se… oh no!

Avevo dimenticato il fucile.

 

Non c’era scelta. Sarei dovuto tornare indietro a prenderlo. Gli altri uomini della nostra grande famiglia erano comunque sistemati ognuno nel suo capanno e quindi non mi avrebbero visto rientrare, ma ne avrebbero sentito parlare. Poco, ma sicuro. Le mogli e i figli nella baita avrebbero riferito con gran piacere della mia “battuta di caccia”. Alla finestra vedevo già le facce sorprese che mi fissavano mentre risalivo sulla strada sterrata. Mi si radunarono intorno alla porta, non risparmiando battutine e risate.

 

Sono passati anni, ma questa storia non la dimentica nessuno (e giustamente). Ogni autunno qualcuno la tira fuori: “Ricordate la volta che zio David…”

 

Cacciare senza fucile

Sono un cacciatore a dir poco dilettante. Se ripenso a quella volta che dimenticai il fucile sorrido e mi faccio una risata tutto da solo. Per me, la vera gioia in quel tranquillo capanno di caccia è il tempo per meditare la bibbia e pregare senza fretta. Prendere un cervo è completamente secondario.

 

Come pastore, tuttavia, sarebbe una vergogna assoluta se mi alzassi per predicare senza la mia arma, cioè, se mi mettessi dietro al pulpito senza la spada, senza il bastone, la bacchetta o il bisturi per l’operazione più impegnativa. Se mi alzassi senza l’unico strumento della nostra santa vocazione. Senza il Libro, il predicatore credente è impreparato e incompetente: può solo, e tragicamente, predicare le proprie idee, le proprie preferenze, i propri consigli sulla vita, predicare sé stesso. Se l’atto di predicare non parte, non procede e non si conclude con la fedele consegna del messaggio di un altro, diventa a tutti gli effetti una predicazione finta, non vera.

 

Se quell’arma è amata e consumata dall’uso, assimilata e maneggiata correttamente, con il Libro, le Scritture, la Parola di verità su Cristo e la sua opera in mano, quel semplice uomo, limitato e caduto, diventa il predicatore di Dio. La lama, familiare e usata con destrezza, può staccare la testa al gigante e operare nei santi con la delicatezza di un chirurgo. Con lo strumento giusto, andrai al pulpito con giusta e umile fiducia. Senza, dovrai farti una lunga passeggiata per tornare alla baita.

 

Fai lavorare la Parola

Mentre l’apostolo Paolo scrive in crescendo fino a quella vetta che è il “predica la parola” in 2 Timoteo 4:2, incarica il suo pupillo e caro amico di usare le Scritture per adempiere alla sua chiamata.

 

Usare le Scritture: potrebbe sembrare strano. Questo non è usare nel senso di sfruttare o abusare. Piuttosto, si tratta di usare con attenzione, timore e fiducia. Coglila. Mettila in pratica. Dio ci ha dato il suo Libro non perché lo mettessimo da parte su uno scaffale, ma perché lo usassimo. Per cui leggilo, spiegalo, predicalo. Ancora, da capo. Non osare fingere, predicando senza averlo usato.

                        Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile… 

 

Per chi è chiamato ad essere pastore la Parola è profittevole, benefica, utile (a dir poco!). Con le Scritture in mano e sulla bocca, il predicatore è competente, capace, e qualificato per i vari aspetti della sua chiamata: “per insegnare, per riprendere, per correggere e per educare alla giustizia” (2 Timoteo 3:16). Senza di essa è incompetente, incapace, inetto, a prescindere da quanto elegante o esperto appaia come oratore.

 

Come possono i predicatori di oggi, dunque, chi già lo fa e chi aspira a farlo, rispondere a questa eterna chiamata di usare il Libro?

 

1. Usalo in privato

Innanzitutto, abbiamo bisogno di tenerlo in mano, di maneggiarlo e gustarlo per conto nostro e, idealmente, di poterlo fare per qualche anno prima di cominciare a predicare regolarmente. Poi, una volta che iniziamo a predicare, continueremo a studiarlo in privato per tutto il tempo e per tutte le stagioni che resteremo pastori, e come credenti.

 

Impariamo a usare le Scritture per aiutare gli altri usandole giorno per giorno per nutrire e ristorare noi stessi. La prima cosa che impariamo, nel tempo, e non certo da un giorno all’altro, è come usare le Scritture per noi stessi, appoggiandoci sullo Spirito di Dio, che potrebbe già da subito regalarci lampi di discernimento e sovrana protezione contro l’errore, ma che non forma un predicatore senza impegnarlo e prepararlo a un lungo viaggio. La buona predicazione è costruita nel corso di molti anni, e si parte comprendendo e applicando correttamente la Parola di Dio nella nostra mente, nel nostro cuore e nella nostra vita. L’uso esperto della Parola da parte di un pastore si sviluppa principalmente non dopo lunghe sessioni di studio prima di una predicazione, ma dall’abitudine sviluppata negli anni a conformarsi alla Parola di Dio nel segreto del proprio cuore.

 

Quindi, per prima cosa, molto prima di cominciare a predicare, impariamo a maneggiare per conto nostro la Parola di Dio. Meditiamo e ne godiamo, e godiamo di Dio stesso rivelato in essa. Per anni immergiamo le nostre anime nelle Scritture. Cerchiamo di conoscere la parola di Dio dall’inizio alla fine, per quanto possibile, perché possa mettere radici e portare frutto in noi.

 

2. Usalo in pubblico

Poi ci giriamo, e spieghiamo la parola di Dio agli altri. Nei nostri sermoni, mostriamo che la parola di Dio è la nostra autorità e la nostra ispirazione, non le nostre idee, opinioni, osservazioni e intelligenza. Ciò che comprendiamo lo riceviamo soffermandoci a lungo sulle Scritture, impegnandoci poi a mostrare a chi ci ascolta dove l’abbiamo appreso. Non diamo per scontato che lo possano vedere senza il nostro aiuto, ma lavoriamo perché lo possano capire per sé stessi.

 

La nostra predicazione sarà piena delle Scritture se ci impegniamo sia in modo diretto che indiretto. Diretto: richiamando l’attenzione su particolari parole e frasi, citando capitoli e versetti. Indiretto: preparando e predicando con un’anima che è plasmata costantemente e negli anni dalle Scritture, e arriva a pensare e percepire con la mente di Dio, piuttosto che con quella del mondo o con la propria.

 

3. Usalo correttamente

In quest’epoca dell’io imperante, ogni uomo che abbraccia e accetta la parola di Dio come preziosa, che determina nel suo cuore di predicare non sé stesso e i suoi pensieri ma Il Libro, ha già superato il primo di vari difficili ostacoli. Questo uomo si convince per sempre che deve “tagliare rettamente la parola”, che deve usarla mettendola al centro della sua predicazione, e lo fa. Una partenza gloriosa. L’inizio di un miracolo. Tuttavia, se vuole adempiere pienamente alla visione dell’apostolo nella sua epistola finale, si imbatterà in un secondo difficile ostacolo: deve tagliare rettamente la parola.

Sforzati di presentare te stesso davanti a Dio come un uomo approvato, un 

operaio che non abbia di che vergognarsi, che tagli rettamente la parola 

della verità (2 Timoteo 2:15)

 

In altre parole, con mano ferma e preparata, porta la Parola lungo un sentiero dritto. Nessun colpo di scena, nessuna incisione arbitraria, nessuna abile digressione, nessun gioco di prestigio. Con un’abilità che nasce da una santa familiarità, togli la lama dal suo fodero e brandiscila con precisione, cura e autocontrollo.

 

Tagliare rettamente le Scritture, cioè usare senza abusare, si può fare in innumerevoli modi.  Qui, però, vogliamo prendere in considerazione solo due tra le molte sfide che comporta.

 

Capire veramente

Prima sfida: tagliare correttamente significa non prendere mai la scorciatoia quando lavori per capire ciò che significa (e non significa) il testo. Studiati il passo cominciando per tempo, e molto prima di leggere commenti e intuizioni di altri. Prendi del tempo per immergerti nel testo e meditare bene prima di predicarlo. Quando passi da uno studio ampio a uno schema conciso e alla presentazione del messaggio, costruisci il sermone basandoti su ciò che hai capito personalmente, o, se qualcun’altro lo ha detto prima di te, su ciò che puoi onestamente riconoscere come pensiero tuo.

 

Applicare a dovere

Seconda sfida: tagliare correttamente significa non prendere scorciatoie nemmeno quando lavori all’applicazione del testo. Per molti di noi questa può essere la parte più impegnativa, ma non ci vogliamo accontentare di un messaggio che rimane distante e che non colma l’abisso tra la bibbia e il mondo che ci circonda.

 

Anche questo vorrà dire programmarsi in anticipo, prendersi il tempo necessario e avere la pazienza di scoprire cosa significa (e non significa) veramente il testo per la nostra chiesa. Non ci accontenteremo di predicare un’etica giusta usando testi sbagliati. Il nostro più grande desiderio sarà di rendere giustizia al passo che abbiamo davanti. Non ci abitueremo, e non useremo pretesti per far dire alle Scritture ciò che vorremmo. Se l’applicazione desiderata non c’è, troveremo un modo fedele per parlarne, e useremo il testo e/o un altro testo per rispondere alle esigenze della congregazione. Cerchiamo di collaborare con lo Spirito di Dio, non di scontrarci.

 

Il sermone: chi viene innalzato?

Si potrebbe parlare di altri abusi. Il predicatore a volte usa le Scritture, ma con troppa parsimonia, legittimando le proprie idee con versetti fuori contesto. Ancora, può abusare delle Scritture se il peso morale del suo sermone ha origine altrove, e dà al testo biblico un ruolo subordinato, per mostrare che Dio sta dalla parte di questa o quell’altra causa. Altre volte può essere che la Parola viene usata, tecnicamente, ma in pratica non è né prioritaria né centrale. Le possibilità di errore sono infinite.

 

La predicazione buona e fedele non è solo scienza, ma anche arte. È un’abilità che si impara nel corso di anni e decenni, non di settimane e mesi. Se facciamo un elenco di tutte le varie e possibili caratteristiche necessarie alla predicazione cristiana (inclusi argomenti e lunghezza appropriata), non troveremo nemmeno un sermone perfetto. Considerata la complessità di quest’arte, la varietà dei testi biblici e il numero e carattere infinitamente vario di chiese nel mondo e nella storia, creare la cartina tornasole perfetta per la predicazione è probabilmente impossibile. Una prova del nove potrebbe esserci: chi viene innalzato dal sermone?

 

È il predicatore che fa bella figura? È chi ascolta che si sente apprezzato e onorato? O è Gesù che è sommamente innalzato? Ogni predicatore che desidera tagliare rettamente le Scritture, sia nello studio personale che nella predicazione, giovane o anziano che sia, non dovrà mai smettere di chiedersi: chi, nei miei sermoni, ha il posto d’onore?

 

 

 

Tematiche: La predicazione espositiva, Predica la Parola, Predicazione, Umiltà

David Mathis

David Mathis

 

Redattore esecutivo di desiringGod.org, pastore della Cities Church di Minneapolis/Saint Paul, e professore associato al Bethlehem College & Seminary. È marito, padre di quattro figli, e autore di Habits of Grace: Enjoying Jesus through the Spiritual Disciplines e di  Workers for Your Joy: The Call of Christ on Christian Leaders (2022).

© desiringGod.org, © Coram Deo

Il presente articolo può essere utilizzato solo facendone previa richiesta a Coram Deo. Non può essere venduto e non si può alterare il suo contenuto.