Cosa ci costa il nostro individualismo
Un Popolo
Nella cultura occidentale, l’elevata considerazione per l’autonomia e l’ossessione per l’individualismo hanno avuto un prezzo: la comunità. Questa mancanza di comunità (insieme ad altri fattori) ha contribuito a un crescente senso di solitudine, con ricadute sul nostro benessere fisico e mentale. Nella chiesa, questo sta influenzando anche la nostra salute spirituale.
Quando il cristianesimo culturale era la norma, molti cresciuti all’interno o attorno alla chiesa hanno ereditato una falsa sicurezza di salvezza. Le crescenti preoccupazioni per questo problema hanno portato a un nuovo accento sulla relazione personale con Gesù.Questo non era del tutto infondato: Dio ci ama come individui e ci chiama personalmente a seguirlo. Andare in chiesa non ti salva. Avere genitori credenti non ti salva. Vivere in una regione “religiosa” non ti salva. È Gesù stesso che richiede una lealtà personale.
Tuttavia, i benintenzionati sforzi di enfatizzare l’importanza di un rapporto personale con Dio hanno, involontariamente, ridotto il valore della nostra relazione comunitaria. Non si tratta solo di “Gesù ed io”.Dio ci ha salvati individualmente per farci diventare un popolo:“Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia”(1 Pietro 2:9-10).
Quando veniamo alla fede in Cristo, otteniamo la cittadinanza nel regno di Dio. Non siamo battitori liberi, ma legati indissolubilmente al popolo di Dio. Se pensassimo che la vita cristiana sia solo “io e Gesù”, non vivremmo come cittadini fedeli.
Dio ha messo da parte la sua chiesa come una nazione santa. Una comunità che opera con giustizia e rettitudine, dove chi ha di più condivide con chi ha meno, dove i forti proteggono i deboli. Dove si lavora per il bene comune, più desiderosi della prosperità di tutti che del guadagno personale. Dove ciascuno non pensa solo a sé stesso, ma decide di “non porre inciampo” e “di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Romani 14:13,19). Un luogo che sovrabbonda di verità, grazia e amore.
Intorno a questa nazione santa, infuria una guerra. Mentre aspettiamo il ritorno del nostro Re, ci armiamo per la battaglia. Vegliamo gli uni sugli altri e ci proteggiamo dalle frecce infuocate del maligno. Paolo ci esorta ad ammonire con pazienza gli indisciplinati, a incoraggiare gli scoraggiati e ad aiutare i deboli (1 Tessalonicesi 5:14). Portiamo avanti la missione insieme, invitando altri a entrare nel regno che non può essere scosso. Quando i nemici cercano di ingannare e distruggere, li affrontiamo, e, quando la battaglia sembra persa e la speranza vacilla, ci ricordiamo a vicenda che Dio ha già vinto.
Che strada solitaria sarebbe, se il cristianesimo fosse solo il nostro rapporto individuale con Dio! La vita è piena di prove e tribolazioni. Gesù ci ha avvertiti che saremmo stati odiati e disprezzati a causa sua. Sapere che non siamo soli è un conforto profondo. Non siamo i primi a soffrire per il suo nome e non saremo gli ultimi. Siamo cittadini che lavorano insieme, soldati che combattono insieme, forestieri eletti che attendono con gioia un luogo migliore.
Insieme siamo chiamati a combattere il buon combattimento della fede. Insieme siamo chiamati a seguire il nostro Re. E poiché restiamo peccatori che spesso mancano a questa chiamata, insieme dobbiamo pentirci e perdonare, mentre cerchiamo la pace e mettiamo a morte l’amarezza.
Una Famiglia
Diventiamo fratelli e sorelle nel momento in cui Dio ci adotta nella sua famiglia. Non c’è gerarchia di valore, né distinzioni dispregiative (Galati 3:28-29). Sebbene i ruoli che ricopriamo e i doni che portiamo alla chiesa varino secondo il buon disegno di Dio, siamo uniti ed eguali coeredi con Cristo.
Questo linguaggio familiare non è solo un’analogia: siamo realmente famiglia. Coloro che sono stati comprati dal sangue di Cristo sono più vicini ancora di parenti di sangue e questo ha enormi implicazioni su come viviamo la comunità.
Come famiglia, siamo chiamati ad amarci. Una verità semplice, ma di applicazione estremamente difficile. Quando nascono conflitti nella chiesa, è facile ritirarsi nel proprio angolo, limitandosi a frequentare chi la pensa o agisce come noi, ma il nostro Padre non tollera questo atteggiamento — quale padre amorevole lo farebbe?
Una delle cose più difficili della maternità è vedere i miei figli trattarsi male. È doloroso osservare la loro parzialità, le liti, l’orgoglio, la durezza. Poiché li amo profondamente, il cuore mi si spezza quando peccano l’uno contro l’altro. Quanto più dev’essere addolorato Dio!
Quando c’è amarezza, ira o maldicenza nella famiglia, “rattristiamo lo Spirito Santo di Dio”, che ci chiama a “essere benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda” (Efesini 4:30-32). Il nostro Padre non resta indifferente ai nostri torti reciproci, perché ama ciascuno di noi con affetto tenero. Non possiamo scegliere di amare solo alcuni fratelli e sorelle e disprezzarne altri, perché “chi ama Dio, ami anche il proprio fratello” (1 Giovanni 4:21).Come figli di Dio, siamo chiamati a riconciliarci, a coprire le offese e a cercare il suo aiuto per affrontare le inevitabili difficoltà relazionali.
A proposito di difficoltà, non sono certo una novità. A volte idealizziamo la chiesa del Nuovo Testamento, ricordando solo la sua potenza e dimenticandone i problemi. Non c’è dubbio che Dio abbia operato potentemente nei primi cristiani e definito un esempio per noi oggi: mostrando coraggio nella persecuzione, generosità straordinaria e zelo evangelistico. Eppure, avevano anche molte difficoltà: immoralità sessuale, divisioni, fazioni, falsi insegnanti, pregiudizi, conflitti e persino cause legali tra fratelli. Ricordarlo è utile, perché se costruiamo nella mente un’idea irrealistica di chiesa, resteremo delusi quando la nostra inevitabilmente non sarà all’altezza.
Ogni chiesa locale ha il suo “bagaglio”.È giusto preoccuparsi per la santità, la purezza dottrinale e la fedeltà alla missione, ma dobbiamo anche estendere tanta grazia ai suoi fallimenti. Dio ci chiama ad amare la famiglia che abbiamo, non la versione migliore che immaginiamo. Come scrisse con perspicacia Dietrich Bonhoeffer:
“Ogni sogno umano di comunità che viene proiettato all’interno della comunità cristiana è un ostacolo alla comunione autentica e deve essere eliminato se questa vuole sopravvivere.
Chi ama il proprio sogno di comunità più della comunità cristiana stessa diventa un distruttore di quest’ultima, anche se le sue intenzioni personali sono oneste, serie e persino sacrificali.”[1]
Solo attraverso un amore costante e impegnato per i fratelli e le sorelle potremo riflettere l’amore del Padre. Se ci tiriamo indietro nei conflitti, se siamo lenti a perdonare, veloci a sparlare e pronti a “morderci e divorarci” (Galati 5:15), in cosa siamo diversi dal mondo? Vivere come fratelli e sorelle non significa assenza di discordia, ma impegno a superarla insieme. È proprio così che una famiglia cresce. Le relazioni diventano più profonde, dolci e forti quanto più ci sopportiamo a vicenda nell’amore. Trattarci come famiglia ha un costo, ma porta anche un conforto immenso — essendo legati per l’eternità, non possiamo semplicemente abbandonarci!
Lettura consigliata: Riscoprire la chiesa, Ed. Coram Deo.
[1] Dietrich Bonhoeffer, Life Together: The Classic Exploration of Christian Community, traduzione John W. Doberstein (New York: HarperCollins, 1954), 27.
Tematiche: Comunione, Popolo di Dio, Vita Cristiana
© Crossway, © Coram Deo
Il presente articolo può essere utilizzato solo facendone previa richiesta a Coram Deo. Non può essere venduto e non si può alterare il suo contenuto.

