La predicazione e il rinnovamento evangelico

Gli uomini sono ansiosi per natura. Ci sentiamo abbandonati e vulnerabili in un mondo in cui siamo destinati a morire. Questo è vero oggi come lo era nel 16esimo secolo. Infatti, al di là delle nostre differenze condividiamo questa fondamentale esperienza umana. In realtà alcune ansie sono facilmente riconoscibili, altre sono più complesse da decifrare. In entrambi i casi, comunque, dipendiamo da Dio per il rimedio. E neanche questo è cambiato.

Di fronte all’ansia, le nostre orecchie sono più sensibili nei confronti della voce di Dio, una voce che ci giunge in un modo particolare: attraverso la Parola predicata. Chiaramente il predicatore è più che una semplice bocca; proclama Dio in tutto il suo essere – la sua sincerità, l’entusiasmo, la compassione, il tono della voce, la sua relazione con Cristo, tutto ciò contribuisce.

 

Predicare nell’Italia del sedicesimo secolo

 

Nei primi decenni del 16esimo secolo, la predicazione era una componente fondamentale del rinnovamento evangelico, il cosiddetto simplex evangelium. A differenza del pensiero scolastico o di molto umanesimo rinascimentale – destinati principalmente agli strati più agiati – la comunicazione della scrittura tramite pubblicazione o proclamazione raggiungeva ogni strato della società. Questa grande diffusione di conoscenza non solo ha creato il libro moderno e la cultura della lettura, ha anche suscitato una forte desiderio della Parola di Dio. In questo frangente, erano soprattutto le lettere di San Paolo a saziare la fame delle anime.[1]

 

Pietro Martire Vermigli

In questo periodo, tra i nomi dei maggiori predicatori della Scrittura figura quello di Pietro Martire Vermigli (1499-1562). Dopo aver preso gli ordini e il Dottorato in Teologia, Pietro Martire fu eletto per il compito di predicatore pubblico. Questa posizione illustre gli diede la possibilità di esporre la Bibbia a un pubblico più vasto. In questo periodo imparò l’ebraico da autodidatta, all’epoca cosa non da poco, con il sostegno di un dottore ebreo chiamato Isacco.[2] Il suo ministero divenne talmente celebre che il suo ordine Agostiniano lo etichettò come un “predicatore eccezionale.”[3]

Parimenti, lo storico napoletano Alfonso Castaldo, che si ritiene abbia potuto ascoltare Pietro Martire di persona (lo zio Al, come mi piace chiamarlo) lo descrisse come “dotto ed eloquente.”[4]

 

Bernadino Ochino

Un altro importante predicatore del Vangelo, forse il più famoso in tutta Italia, fu Bernadino Ochino (noto anche come Bernadino da Siena, 1487-1564). Ochino era già stato un predicatore conosciuto di formazione francescana, viaggiava di città in città e di piazza in piazza, minacciando gli ascoltatori di punizioni divine e favorendo riconciliazioni tra fazioni locali. Ma il suo avvicinamento agli evangelici di Napoli, un circolo di amici a cui anche Vermigli si sarebbe presto aggiunto, trasformò completamente il suo ministero di predicazione.

McNair scrive:

Due anni prima [1536], era entrato nei Cappuccini per salvare la propria anima con le opere; da quel momento aveva iniziato a dubitare (come Lutero venti anni prima) che queste potessero salvare la sua anima. La salvezza era in Cristo, il “dolcissimo Salvatore”: ma in che modo salvava Cristo? . . . Quando Ochino aderì [alla dottrina della giustificazione per sola fede] a Napoli, l’Evangelismo era nato.[5]

 

Fu nella chiesa del monastero di San Giovanni Maggiore di Napoli nel 1536 che Ochino, all’epoca Generale dei Cappuccini, predicò una serie di Sermoni di Quaresima tanto coinvolgenti che anche Carlo V, l’imperatore, che li aveva sentiti tornando dalla spedizione in Tunisia, commentandoli disse che l’esposizione di Ochino avrebbe fatto piangere le pietre.[6]

Diversamente dalla predicazione cattolica tipica dell’epoca, fortemente debitrice dalle tecniche retoriche di Cicerone e Quintilliano,[7] l’approccio di Ochino “redatto semplicemente e profondamente sentito. . . [proclamava] i grandi temi della grazia, della fede e delle opere tra la gente comune. Questi messaggi avevano risonanza ed erano discussi nelle strade e nei mercati per giorni.”[8] Il frutto tangibile di questo ministero era restare all’interno di quello che il popolo di Dio aveva sempre osservato in tempi di rinnovamento evangelico: l’evangelismo.

 

La diffusione del Rinnovamento evangelico

Come sarebbe lecito aspettarsi, questa predicazione suscitò un vigoroso impegno di diffusione evangelistica. Per esempio, un falegname di nome Antonio divenne un dichiarato sostenitore del rinnovamento protestante, coinvolgendo i suoi vicini in conversazioni sulla fede. Lui e i suoi amici evangelici –“ tra cui un notaio, un sarto, un precettore, un pollivendolo, un venditore di uova, un arrotino, un liutaio, un tessitore, alcuni mercanti di seta e un frate”- si incontravano per studiare regolarmente le lettere di San Paolo. Presto rifiutarono la dottrina del purgatorio, la confessione sacerdotale, i rosari e altri riti sacramentali che, sulla base della Scrittura, ritenevano meramente superstiziosi.

Si opposero anche all’insegnamento cattolico romano sulle opere meritorie come basi della giustificazione.
Alcuni di questi neoconvertiti alla fede evangelica avevano abbastanza fegato da ingaggiare dispute teologiche con il clero cattolico romano. Per esempio, un musicista chiamato Zuan Maria da Bologna sfidò un frate francescano sul tema del libero arbitrio, sostenendo che gli uomini fossero semplicemente strumenti attraverso cui Dio estende la grazia redentrice. Per sostenere questo punto, soffiò nella sua tromba e dopo asserì: “Se non avessi soffiato, non avrebbe emesso alcun suono”, enfatizzando la natura passiva della volontà umana quando incontra il soffio di Dio.[10]

Per noi è probabilmente impossibile apprezzare l’indescrivibile esaltazione sperimentata da uomini e donne che ascoltavano per la prima volta nei discorsi quotidiani le parole di Gesù: “Sono venuto a cercare e salvare i perduti.”

Il rinnovamento evangelico che seguì questo messaggio non fu quindi una semplice rivoluzione di idee, di princìpi dottrinali. Fu un’esperienza in cui la voce di Dio veniva ascoltata nei termini e nelle lingue di tutti i giorni; un annuncio divino della grazia liberatrice che scuoteva i cuori di persone appesantite dall’ansia. In questo modo, la dimensione personale della predicazione del Vangelo aumentò l’impulso personale di dottrine come quella della giustificazione per sola fede.

 

Predicare il vangelo, allora e oggi

Nel suo articolo Religious Restlessness in Sixteenth Century Italy, Paul Grendler spiega come l’interesse della gente comune per la Scrittura e la fede personale diventarono alleati del desiderio crescente di sperimentare un sempre più vivido rinnovamento evangelico. [11]

In questo contesto, l’importanza di cerimonie e pratiche religiose cedette il passo allo studio della Scrittura con il Vangelo della grazia in prima linea. Non passò molto prima che l’impulso per questa riforma venisse dal basso, dalla testimonianza quotidiana di uomini e donne. Questo reformatio in membris (riforma nei suoi membri) diede vita ad una chiesa più attiva intellettualmente e più impegnata nella predicazione personale della salvezza. Tale proclamazione, diffondendosi di piazza in piazza, affrontava l’ansia umana con un messaggio di buone notizie.

 

E oggi?

Ho letto con grande interesse la relazione del pastore John Piper del suo recente viaggio in Italia. Piper scrive: “In ogni posto visitato ho visto un movimento crescente, vangelocentrico per la maggior parte composto da giovani (ma non solo!) europei dedicati alla fondazione di chiese, a un evangelismo aggressivo e una teologia riformata capace di cambiare le vite”. Il pastore Piper ha spiegato che questo movimento non è solo un risveglio della vita in Cristo e un’ardente adesione al ministero della Parola ma raggiunge anche gli angoli più scuri della società, sottraendo donne alla prostituzione. Questo, cari amici, è ciò che fa il Vangelo. E ciò succede quando noi tutti – a prescindere dalla nostra provenienza, dalle nostre condizioni sociali, età o professioni – esponiamo la buona notizia che il Salvatore che morì è vivo e vive per dare vita eterna a cuori ansiosi.

 

 

[1] Dermot Fenlon, Heresy and Obedience in Tridentine Italy: Cardinal Pole and the Counter Reformation. (Cambridge: Cambridge University Press, 1972), 3.
[2] Josiah Simler, Life, Letters, and Sermons. Tradotto ed edito da John Patrick Donnelly. The Peter Martyr Library 5. (Kirksville, MO: Thomas Jefferson University Press, 1999), 17.
[3] “Predicatorem eximium.” Philip McNair, Peter Martyr in Italy: An Anatomy of Apostasy (Oxford: Clarendon Press, 1967), 118.
[4] “Dotto ed eloquentissimo,” Antonio Castaldo, Dell’istoria di notar Antonino Castaldo libri quattro. (Napoli, Nella stamperia di G. Gravier, 1769), 66.
[5] McNair, Peter Martyr in Italy, 34-35.
[6] John Jeffries Martin, Venice’s Hidden Enemies: Italian Heretics in a Renaissance City, (Baltimore: The John Hopkins University Press: 2004), 41.
[7] Perlomeno fino a Trento e in particolare all’accademia per predicatori del cardinale Carlo Borromeo, che adottava uno stile meno arzigogolato.
[8] Salvatore Caponetto, The Protestant Reformation in Sixteenth-century Italy. Tradotto by Anne Tedeschi e John A. Tedeschi. (Kirksville, MO: Thomas Jefferson University Press, 1999), 74.
[9] John Martin, “Salvation and Society in Sixteenth-century Venice: Popular Evangelism in a Renaissance City,” Journal of Modern History 60 (1988): 207.
[10] Ibid., 219.
[11] Paul F Grendler, “Religious Restlessness in Sixteenth-century Italy.” The Canadian Catholic Historical Association 33 (1966): 25-38.

 

Traduzione a cura di Filippo De Chirico

 

Nell’immagine: Pietro Martire Vermigli dipinto da Hans Asper ca 1560

Tematiche: Chiesa, Predicazione, Riforma, Teologia

Chris Castaldo

Chris Castaldo

(PhD, London School of Theology) è pastore della New Covenant Church a Naperville, Illinois. È l’autore di Talking with Catholics about the Gospel. Scrive sul blog www.chriscastaldo.com

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